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Neymar in campo dopo un anno: l’ultima occasione di un re senza corona

La rottura del crociato, le aspettative deluse: una carriera che nonostante i trofei non è stata all’altezza delle attese. A 32 anni e dopo due trasferimenti in discesa, gli restano solo i soldi arabi

Quindici secondi di filmato per un gol come tanti altri, in apparenza: Neymar colpisce da pochi metri col suo morbido destro e la palla s’infila in porta. Non c’è nessuna esultanza, nemmeno un sorriso: rientra serio verso il centro del campo mentre il resto dell’allenamento procede. L’Al Hilal, campione saudita in carica e capolista del torneo in corso, è tornato al lavoro dopo la pausa nazionali e ha trovato in campo Neymar un anno dopo la sua ultima partita. Era il 17 ottobre 2023 quando il campione si accasciò durante Uruguay-Brasile nel mitico stadio Centenario di Montevideo. Una spallata di Nicolás de la Cruz, e il piede sinistro di O Ney restò piantato sul terreno provocando un disastro: rottura del legamento crociato e del menisco esterno, ci è voluto un anno intero per rivederlo in campo. E dunque il gol siglato nel video che l’Al Hilal si è premurato di diffondere su tutti i social non è come tanti altri, ma rappresenta la fine dell’ennesimo incubo. Espn Brasil si è spinta a ipotizzare che già lunedì possa tornare in una gara ufficiale, il match di Champions asiatica contro l’Al-Ain.

È sempre difficile parlare di Neymar perché l’enormità del suo talento complica la valutazione dei risultati conseguiti fin qui. Nel suo palmares figurano un filotto internazionale col Barcellona (Champions-Supercoppa-Mondiale per club), sette campionati in Europa (due spagnoli e cinque francesi), l’Olimpiade vinta col Brasile e il record di gol in nazionale (79) strappato a Pelé. Sono trofei sufficienti a riempire un museo personale, eppure Neymar resta nell’immaginario popolare un re senza corona, o meglio un rimpianto — cosa sarebbe potuto diventare — anziché un applauso per ciò che comunque è diventato. Leo Messi ha inseguito per tutta la vita il trionfo in un Mondiale, raggiungendolo a 35 anni, ma nel frattempo nessuno ne discuteva il diritto a essere considerato tra i più grandi di sempre (semmai gli si negava il primato assoluto).

Neymar di anni ne ha 32, e verosimilmente gli resta un colpo da tentare nel 2026, quando ne avrà 34. Ma la scelta saudita, che pure in molti videro come un passaggio per preparare in tranquillità l’ultima chance mondiale, ha fatto scopa con quella parigina del 2017, un altro trasferimento “in discesa”, e all’epoca Neymar di anni ne aveva 25. Ci sono sempre quantità di denaro fiabesche a latere di questi spostamenti, ed è fatale che un po’ corrompano il giudizio sugli stessi. Neymar accettò che il Psg pagasse la sua clausola — 222 milioni, record da allora e chissà per quanto ancora — perché voleva diventare il volto di un club vincente, l’uomo-franchigia per dirla all’americana.

Pochi mesi prima una sua prestazione straordinaria aveva permesso al Barça una rimonta in Champions passata alla storia, il 6-1 proprio al Psg dopo la sconfitta per 0-4 al Parco dei Principi. Neymar quella sera dall’88’ al 95’ segnò due gol e fornì a Sergi Roberto l’assist dell’ultima rete, quella decisiva. Una volata finale eccezionale, eppure tutte le foto scattate dopo il triplice fischio mostrano Messi portato in trionfo. Quella sera Neymar capì che qualsiasi cosa avesse fatto col Barcellona, sarebbe sempre rimasto in un cono d’ombra rispetto a Leo: il quale era pure un amico, come avrebbe dimostrato più avanti favorendone l’approdo al Psg, ma tutti i veri campioni arrivano al punto in cui il loro ego pretende i riflettori in esclusiva. Così se ne andò, senza immaginare che il contemporaneo acquisto di Mbappé avrebbe creato un nuovo e meno amichevole dualismo.

Una parte di spiegazione del modo in cui lo percepiamo è che ormai da molti anni Neymar gioca poco, sempre alle prese con qualche convalescenza. Nelle sei stagioni al Psg si è perso 92 partite di campionato a fronte delle 112 disputate, quasi una su due. Un’enormità, cui si aggiungono le primavere di Champions viste con le grucce dalla tribuna. In Arabia è stato particolarmente sfortunato, okay, ma alla fine la prima stagione è consistita in cinque gare. Il rovescio della medaglia di tante assenze è una vita instagrammata con molta leggerezza. Forse troppa: fra le storie che girano ce n’è una in cui festeggia il compleanno di una figlia sbirciando di continuo lo smartphone acceso sul poker online, e un’altra in cui piange e ride al tempo stesso su una puntata che gli sarebbe costata un milione di euro.

Impossibile distinguere il vero dal falso, resta l’esibizione di uno stile di vita distante dai canoni dell’atleta, corollario di uno stile di gioco irridente che Neymar non s’è mai preoccupato di cambiare malgrado le prove della sua rischiosità. I campioni sono sempre i più tartassati, ma imparano in fretta a non farsi abbattere: O Ney non c’è ancora riuscito perché anche il suo calcio è molto instagrammabile, e la grande giocata ha bisogno del contatto ravvicinato e del calcione in agguato. Solo che quando ti prende, ti fa male.

L’altra notte il Brasile ha largamente battuto il Perù rinsaldando il suo rientro fra le promuovende sudamericane al Mondiale: ne era uscito, non è ancora certo della qualificazione, ma il ritorno di Neymar darà un impulso alla Seleçao di Dorival (e da tempo si vocifera che tra un anno mollerà pure i sauditi per chiudere la carriera al Santos). Torna in mente un’esperienza ai confini del mistico vissuta nel 2014 a Rio, la notte di Brasile-Colombia (a Fortaleza). Durante il primo tempo ero in taxi, attraversando una città col fiato sospeso e immaginando la partita nelle televisioni piazzate sulle strade davanti a capannelli di gente sfasciata dal caldo. Andai a seguire la ripresa sui megaschermi di Copacabana, immerso in un sabba da decine di migliaia di persone entusiaste per i gol di Thiago Silva e David Luiz, ma alla fine disperate per l’infortunio di Neymar, cui Zuniga aveva rotto una vertebra togliendolo di fatto dal torneo. È in ricordo di quel pianto collettivo, replicato qualche giorno dopo a Belo Horizonte a partire dal terzo gol della Germania in quella che resterà una delle punizioni più umilianti della storia del calcio, che un Neymar protagonista fino in fondo col Brasile a un Mondiale è qualcosa che manca. Coraggio, è partita l’ultima rincorsa.

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