Quando uno stadio muore, se ne va tutta la storia di cui si è fatto carico. Presi a picconate i ricordi, inevitabile cercare tra le macerie la traccia dei dribbling di un tempo felice. So long, Old Trafford. Verrà abbattuto, il futuro non ha tempo da perdere. Jim Ratcliffe, co-proprietario del Manchester United, ha ipotizzato la costruzione del più grande stadio del mondo, astenersi perditempo e collezionisti di figurine.
All’inizio del millennio toccò a Wembley, la cattedrale della religione del calcio. Tra le pagine chiare e le pagine scure apparvero un vecchio gol di Capello che scaldò di orgoglio gli italiani, innumerevoli finali di coppa al balsamo di fish and chips, la regina d’Inghilterra con uno dei suoi clamorosi cappelli, quella volta virava verso il giallo, mentre Bobby Moore alzava la coppa del mondo al cielo e persino i Pink Floyd che in una sera di novembre di metà anni 70 incisero la storia con “The dark side of the moon”.
Il Sarrià diventato complesso residenziale
Luoghi sacri, gli stadi. Il loro ruggito risuona ancora nella memoria. Al posto del Sarrià di Barcellona oggi c’è un complesso residenziale, citofonare alla Signorina Nostalgia: Paolino Rossi ha appena fatto piangere il Brasile per la terza volta e per sempre. Per abbattere il Sarrià ci vollero 78 chili di tritolo. La demolizione venne fatta iniziare, va da sé, alle cinque della sera. L’emittente catalana Tv3 ci imbastì una diretta. Titolo: la “Voladura”. Vennero mandati in onda i servizi sulle partite più celebri che lì si erano disputate. Alle 16.55 si sentì il suono della sirena e alle 17.00 ci fu l’esplosione.
Lo scoiattolo di Highbury
Highbury, ei fu: 110 yard per 73, erba di un verde scintillante, squarci di azzurro sulla North Bank. “Rimasi incantato dalla travolgente maschiezza del tutto”, scrive Nick Hornby nel suo libro-cult. Quando venne celebrato il funerale, ultima partita un Arsenal-Villareal di Champions, a metà della ripresa in campo apparve uno scoiattolo. Fu un’epifania. Dopo un attimo di esitazione, lo scoiattolo si inabissò in un tubo di plastica arancione a bordo campo. Oggi Highbury si chiama Emirates Stadium: più del romanticismo poté lo sponsor.
L’Appiani dei Padova
L’Appiani di Padova lo chiamavano “La fossa dei leoni”. Troneggiava in centro città, a un respiro da Piazza della Valle. Negli anni 50 ci giocava il Padova di Nereo Rocco. La leggenda racconta che una domenica ci capitò l’Inter e – durante il riscaldamento pre-partita – il Mago Herrera chiese ad uno dei suoi chi fossero quegli attempati signori, forse giardinieri che sistemavano il campo? Erano Pin, Blason, Scagnellato, Pison, Azzini, le colonne del “Padova dei poareti”. L’Appiani è stato sacrificato sull’altare di Mani Pulite e della frenesia pre Notti Magiche per far posto all’Euganeo, un obbrobrio costruito – e qualcuno lo prese come un segnale – accanto al carcere Due Palazzi.
Il Mané Garrincha diventato deposito dei bus
Gli stadi vivono finché ci rimbalza il pallone. Il Mané Garrincha di Brasilia, tirato su dal nulla per il Mondiale brasiliano del 2014, un anno dopo il torneo era già stato riconvertito a deposito dei bus cittadini. Prossima fermata: il cinismo. Il Delle Alpi di Torino ha avuto vita breve e sconclusionata: sedici anni di visioni spezzettate da un’architettura sbagliata. Il “Vejo Gasometro”, nel quartiere Boedo, a sud di Buenos Aires, casa del San Lorenzo, la squadra del Papa, era il più grande stadio d’Argentina. Lo chiamavano “Gasometro” perché a quello somigliava: a quei vecchi depositi di gas che spesso fanno da punteggiatura alle città argentine. Venne chiuso nel 1979, in piena dittatura, quando il governo dei Colonnelli – a caccia di soldi – l’aveva venduto alla catena dei supermercati Carrefour.
Il De Meer, la casa dell’Ajax
La casa dell’Ajax, per più di sessant’anni, dal 1934 al 1996, è stata il De Meer: lì si è accesa la scintilla del Calcio Totale che ha rivoluzionato il mondo. All’ingresso campeggiava la scritta “ajax”, in minuscolo, con un pallone a fare da puntino alla lettera “j”, come fanno gli innamorati che riempiono di cuoricini ogni frase. Al solo ripensarci, stringe il cuore. Quando muore uno stadio: niente fiori, ma opere di memoria.