L’arte rapisce, seduce, ossessiona. Scassa il cuore. E urla. Lui lo sapeva, tanto che la rubò. Era nato a Oslo, ma non veniva dall’alta società, anzi era cresciuto nel quartiere malfamato di Tveita, faceva parte della banda di Jan Kvalen che riscuoteva il denaro per conto degli usurai, a 19 anni era finito nella prigione di Ullersmo (dove oggi è rinchiuso Zaniar Matapour, condannato a 30 anni per l’attentato a Oslo nel 2022). Pål Enger giocava a pallone nel Vålrenga, non bene come Erling Haaland, attuale attaccante del Manchester City e della nazionale norvegese, ma se la cavava. Nel mondo è conosciuto come il calciatore di giorno e ladro d’arte di notte. E già perché Enger è l’uomo che rubò L’Urlo di Edvard Munch. Tanto per farvi ricredere sull’ignoranza dei calciatori.
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In tanti hanno associato l’urlo (liberatorio) di Marco Tardelli nella finale mondiale dell’82 dell’Italia contro la Germania all’urlo (angoscioso), simbolo della nevrosi dell’uomo moderno, del pittore norvegese. Enger ne era stato sempre ossessionato sin da quando lo aveva visto da ragazzo per la prima volta in una gita scolastica. «L’ansia terribile e senza parole sul volto, le mani sopra le orecchie mi ricordavano come mi facesse sentire il mio patrigno violento. Pensai di non essere il solo. Per anni sono tornato a guardare il dipinto almeno due volte a settimana». A lui quella figura parlava. Si sa, quando si è giovani si scelgono strade, senza essere sicuri di quale sia veramente la nostra, per capire bisogna sperimentare. E lo sport si presta a fare da cavia.
Pål giocava a centrocampo, era una promessa del Vålrenga, fece una presenza in Coppa Uefa (pochi minuti). Talento versatile, di giorno in campo a superare avversari, di notte a scappare dai poliziotti. Svuotava negozi, gioiellerie, sedi di istituzioni. «Sempre quando non c’era nessuno, mai nelle abitazioni private, mai spacciato droga o usato violenza fisica, anche se molti compagni della banda erano tossicodipendenti»». Un ladro gentiluomo. Ma anche narcisista e vanitoso: si comprò una Porsche («La mia era unica, a Oslo»), adorava le ragazze, gli yacht e la bella vita: «Sono stato Beckham prima di lui, nel mio quartiere tutti venivano a vedermi mentre lavavo l’auto». Di gol da calciatore ne segnò pochi, e nemmeno tanti i palloni rubati (agli avversari, eh), ma mise a segno un colpo clamoroso il 12 febbraio ’94. Quel giorno non era un giorno normale in Norvegia, a Lillehammer era in programma la cerimonia di apertura delle Olimpiadi Invernali e tutte le forze dell’ordine erano impegnate a vigilare sui Giochi. Enger e un complice si avvicinarono su un furgone alla Galleria Nazionale di Oslo, lasciarono il motore acceso, uno si arrampicò sul muro con una scala, entrò da una finestra al secondo piano, staccò L’Urlo. In 50 secondi. Al suo posto un biglietto: “Grazie per la scarsa sicurezza”.
La polizia aspettò la richiesta di un riscatto. Chi era così pazzo da rubare un’opera famosissima e impossibile da piazzare? Non Enger che la mise tra due vetri all’interno del suo tavolo da pranzo e lì la nascose. «Volevo gustarmela a casa, ogni tanto la tiravo fuori e la guardavo». Munch tra il 1893 e il 1910 aveva realizzato quattro versioni del dipinto. Nel 2012 quella a pastello è stata venduta all’asta per 120 milioni di dollari che oggi nel 2024 con l’inflazione equivalgono a oltre 247 milioni. Chiederete, ma era così difficile inserire Pål nella lista dei soliti sospetti? No, per niente, di tracce ne lascia: viene ripreso dalle telecamere perché in quello stesso giorno era stato in visita al museo, aveva rubato una cartolina che raffigurava degli ubriachi, si era fatto un bicchiere al bar e l’aveva lasciata lì scrivendoci: «Non mi pare ci sia una grande sorveglianza». Non contento, aveva fatto pubblicare un annuncio sul giornale Dagbladet per comunicare la nascita di suo figlio: «È arrivato con un urlo». Molto spiritoso.
La polizia norvegese chiese l’aiuto di Charles Hill, detective di Scotland Yard, specializzato in furti d’arte, che elaborò un piano: fingersi un rappresentante del Paul Getty Museum sotto il falso nome di Charley Roberts e prenotare una stanza nell’albergo più costoso di Oslo. Purtroppo la polizia locale si dimenticò di comunicare che nello stesso hotel si teneva la conferenza annuale scandinava sul narcotraffico, non il miglior posto dove invitare dei ladri per una trattativa. La catena dei contatti fece un giro largo: c’era uno che conosceva un altro che a sua volta avrebbe parlato con altri. Dopo tre mesi i ladri portarono un pacco avvolto in un lenzuolo blu e lo deposero sul tavolo della sala da pranzo di una casa di vacanze. Era L’Urlo. Enger finì in galera, condannato a sei anni e tre mesi, solo lui, gli altri tre non potevano essere incriminati perché la polizia aveva usato false identità.
Nel dicembre 2015 torna dentro, per aver rubato 17 dipinti dalla galleria Fineart, nel centro di Oslo. Dodici sono di Hariton Pushwagner, arista pop norvegese, ex campione di tennis nel ’55, tossico, alcolista, vagabondo, un altro che ha patito e che urla a suo modo. Enger ammette il furto, anche perché in uno spazio della galleria dimentica portafoglio e carta d’identità. La passione per il calcio gli passa, quella per l’arte no, anzi. In carcere si mette a dipingere: animali, veicoli e poi figure astratte. Non è male, dicono i critici, tanto che espone anche in alcune mostre. Viene fuori che il suo primo furto non è stato L’Urlo ma un altro capolavoro di Munch, Amore e Dolore, chiamato anche Il Vampiro (una donna che bacia un uomo sul collo). Che ci poteva fare Pål, a lui quell’angoscia, quel male di vivere, quel tormento piacevano. E da grande esperto si dedicava solo a opere di pregio.
Su di lui c’è un documentario (The man who stole the Scream) dove rivela senso ironico e una visione di gioco anche fuori del campo: «Quando nell’88 sentii Juan Antonio Samaranch, presidente del Cio, annunciare la scelta di Lillehammer, decisi che sarebbe stato un buon momento per rubare Munch. Ero in arresto in quel momento e così dal carcere ordinai dei libri per diventare un esperto scassinatore di finestre. Tra l’altro Amore e Dolore lo nascosi in un bar frequentato dai poliziotti, nella sala del biliardo, quando loro uscivano io lo tiravo fuori e lo guardavo». Munch a Enger parlava ai sensi, conosceva quella violenza: «Quando ruppi la cornice sentii un brivido fortissimo, lo avrei rispedito al mittente dopo qualche anno, non lo volevo con me per sempre». Nel 2022 la madre di uno dei suoi quattro figli (avuti da donne di nazionalità diverse) venne uccisa. «La sua perdita mi ha molto angosciato».
Pål Enger è morto il 29 giugno a 57 anni. La sua ex squadra, il Vålrenga, lo ha ricordato con rispetto e affetto: «Non era il miglior calciatore del mondo, era più bravo come ladro, per questo ha scelto la carriera di criminale». Insomma, va’ dove ti riesce il gol più bello e l’orgoglio per un lavoro ben fatto. Anche se lui ci teneva a dire che aveva capito non solo Munch, ma anche lo sport: «Quello che mi piaceva era la sfida». Da urlo.