ROMA – Il caso del disastro di Piracy Shield ha fatto rumore. La piattaforma per combattere la pirateria ha oscurato Google Drive per almeno 5 ore. Giovanni Zorzoni, presidente di AIIP (Associazione italiana internet provider) spiega: “Il vero problema è che la funzione di Piracy Shield, più che limitarsi a interferire parzialmente le partite trasmesse illegalmente, dovrebbe essere cercare i veri pirati. Ma oggi nulla è seguito alle centinaia di segnalazioni sul versante giudiziario”.
Zorzoni, come nasce il problema che ha portato al blocco di Google Drive?
“Il problema nasce da questo fatto: abbiamo soggetti che, nonostante la norma imponesse di partecipare, hanno detto di non vedersi nel recinto della norma, non hanno mai partecipato ai tavoli tecnici e non hanno mai espresso la loro white list”.
Uno di questi è proprio Google. Quindi il problema si sarebbe evitato se Google avesse trasmesso la propria whitelist?
“Era stato detto esplicitamente che la whitelist può contenere solo elementi di sicurezza intrinseca degli operatori. Non dei servizi commerciali, come ad esempio quello che è stato bloccato. Quindi, per il regolamento tecnico di Agcom in vigore, anche se Google avesse partecipato alle riunione non avrebbe potuto mettere in whitelist quel dominio o il servizio di Google Drive”.
Tecnicamente cosa è successo? Lo sappiamo?
“Se vediamo cosa è stato filtrato, si tratta del Dns principale di scaricamento di Google Drive. E poi un indirizzo Ip diciamo a caso che in quel momento risolveva dal punto di vista del segnalatore quel dominio. Difficile supporre cosa abbia persuaso il segnalatore a bloccare Google Drive. Un file di testo condiviso con URL che puntavano a siti di streaming pirata? Non è dato a sapersi, certo è che bloccare Google Drive per motivi di pirateria suggerisce il livello di professionalità con cui si è operato”.
Come si arriva a fare questo tipo di manovre?
“Che verifiche e che controlli vengono fatti non è dato sapersi. Il tavolo tecnico è sempre stato splittato in due. C’era il tavolo tecnico degli operatori internet come noi a cui partecipano anche i titolari dei diritti. Ma a noi internet provider non è mai stato permesso di partecipare al tavolo tecnico dei titolari dei diritti e relativi segnalatori. Per cui non sappiamo quali siano i criteri, le modalità di segnalazione. Per noi è sconosciuto. Al tavolo tecnico abbiamo spiegato che serviva un numero verde e un’assistenza H24 in caso di problemi. Non possiamo mandare un messaggio whatsapp all’Agcom per risolvere problemi piccoli o grandi, visibili o meno visibili di questo caso, che ha coinvolto un colosso come Google. Oggi è tutto lasciato alla buona volontà”.
Come si è arrivati stavolta allo sblocco?
“Quale sia il percorso formale per cui è state bloccate le risorse di Google non è chiaro. Il regolamento dell’attuale norma è in contrasto con quanto è stato fatto. E per fortuna è stato fatto. Ma il processo attuale è farraginoso e avrebbe sulla carta impedito un ravvedimento come è stato fatto. C’è stato un piccolo operatore cloud che è stato filtrato ed è rimasto oscurato per mesi. Questo suggerisce che potrebbe esserci una sensibilità diversa rispetto alle dimensioni delle aziende in gioco, e questo sarebbe molto grave”.
Ma si può intervenire su chi ha fatto una segnalazione errata?
“Oggi non c’è trasparenza di chi fa la segnalazione. Noi operatori non sappiamo se sia Dazn, la Serie A o Sky, e nemmeno la società di consulenza che lo fa per loro conto, a fare un determinato oscuramento. Questa opacità provoca due problemi diversi: il primo è che se succede un problema ripetuto, non possiamo avere l’idea se c’è una società che sta lavorando male. Secondo, in mancanza di un servizio di sistemi di sicurezza H24 sulla piattaforma, diventa più complicato segnalare eventuali problemi crati dai segnalatori stessi”.