La sua storia d’amore con la Juventus, il passaggio sfumato all’Inter, l’addio al calcio, la Coppa dei Campioni. Michel Platini si è raccontato sul palco del Festival dello Sport di Trento, monopolizzando la prima serata. Dalle sue radici italiane al rapporto con l’Avvocato fino alla riscoperta dell’Italia da turista, Le Roy ha ipnotizzato il pubblico in sala, molti dei quali tifosi della Juventus accorsi per rivedere uno dei giocatori più amati della storia bianconera.
Il passaggio sfumato all’Inter
“Avevo già firmato con l’Inter”, ha raccontato Platini, sottolineando come i nerazzurri fossero arrivati a lui due anni prima della Juventus. Anche se in quel periodo il calcio era chiuso, gli stranieri erano limitati a due per squadra: “Avevo firmato con l’Inter 2 anni prima, ma gli stranieri non potevano venire e sono andato al Saint Étienne e ho giocato lì. Qualche anno dopo ho chiamato l’Inter e ho detto che mi voleva la Juve, mi hanno risposto che avevano già due stranieri”. Una fortuna per la Vecchia Signora, che avrebbe iniziato con Platini una delle storie d’amore calcistico più intense: “Boniperti mi chiese se avessi voluto parlare con l’Avvocato, ma pensavo intendesse il mio – ha raccontato Platini – Gli dissi che era già con me, ma mi rispose che lui intendeva l’altro Avvocato”.
Il rapporto con l’Avvocato e la Coppa dei Campioni
L’altro Avvocato, Gianni Agnelli, ebbe un rapporto speciale con Platini, iniziato con una richiesta che il francese contribuì ad esaudire: “Mi disse che avremmo dovuto vincere la Coppa Campioni, gli risposi che ci avrei pensato io”. Iniziò male quella stagione, il suo inserimento fu lento: “Parlai con Boniperti, gli dissi che prendere me e Boniek e poi giocare un calcio antico non avrebbe funzionato. Ma ci riprendemmo”. Fino a diventare uno dei più forti calciatori del Mondo, o per meglio dire il più forte, secondo Platini: “Dopo la finale di Coppa dei Campioni persa con l’Amburgo capii che non sempre vince il migliore. Ma nel 1984 io ero il migliore del mondo. Anche se le classifiche dei calciatori sono sciocchezze, non puoi paragonare campioni di epoche diverse”.
Il ritiro a 32 anni
La sua carriera finì presto rispetto ai suoi colleghi, a soli 32 anni appese le scarpe al chiodo: “Era un momento complicato per problemi fisici e per quello che era successo a Bruxelles. Ero logoro, e non è bella la vita se non fai gol”. Già, i gol, quelli che oggi Yildiz realizza e inventa per i compagni. Anche se oggi i “10” giocano spesso esterni in un tridente: “Nessuno mette il numero 10 al centro, ma sulle fasce. Dovete chiedere agli allenatori il perché, non a me”. Inevitabile chiedere anche delle sue vicende giudiziarie, poi concluse con l’assoluzione: “La vita non è sempre facile ma chissà che un giorno non possa fare un contropiede e segnare. Come sarebbe stato il calcio con me? Se fossi stato il presidente della Fifa non ci sarebbe mai stato il Var. Lasciamo una dimensione umana al calcio, al massimo mettiamolo sul fuorigioco”.
