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Psg, lo show è più bello senza star: “Il fuoriclasse è il gruppo”. In Champions sfida il Liverpool

I parigini e i Reds nell’ottavo più atteso di Champions

Il Liverpool è la squadra migliore dell’anno, ma stasera, si trova tra i piedi la migliore degli ultimi due mesi, la più sorprendente metamorfosi calcistica dei tempi recenti: il Psg ha chiuso in un cassetto la raccolta di figurine smorfiose che era, entrando in maniera torrenziale in una nuova realtà che può proiettarlo in una nuova dimensione, quella mai raggiunta nemmeno con la raccolta di stelle e gli stipendi da sultano. Nel 2025 i parigini hanno vinto 15 partite su 16 e segnato 54 gol. Un terzo di questi, esattamente 18, li ha fatti Dembélé, quattro in più del suo amicone Mbappé, che pure sta attraversando il primo stato di grazia da un paio d’anni a questa parte. Oggi il Psg è una magia di incastri, gioca a velocità siderali eppure tutto combacia: sembra un’orchestra che suona il rock.

L’addio di Mbappé e il rilancio del Psg

Luis Enrique ci ha messo un anno e mezzo per arrivarci, ma infine ce l’ha fatta, facendosi perdonare la furia iconoclasta che ha abbattuto uno dopo l’altro i totem della grandeur alla qatarina (a gennaio anche Kolo Muani e Skriniar ma si è salvato Donnarumma, tornato indiscutibile dopo aver rischiato la dismissione a vantaggio del suo vice russo, Safonov): l’ultimo ad andarsene è stato Mbappé, sono volati gli stracci, c’è una causa ancora aperta (il giocatore pretende 55 milioni dal club) e tutti, all’inizio, sono stati vittime del reciproco abbandono. Mbappé non ingranava a Madrid, il Psg cincischiava alla ricerca dell’identità perduta e a novembre era praticamente fuori dalla Champions, dopo tre sconfitte e un pareggio. Poi Kylian ha preso a volare e Parigi anche, come se avessero completato in assonanza l’elaborazione del lutto.

Luis Enrique: “Abbiamo cinque giocatori da 10 gol al posto di uno da 50”

Oggi chi c’è meglio di Mbappé? Chi c’è il meglio del Psg? “Avevamo uno che faceva 50 gol, adesso ne abbiamo cinque che ne fanno 10”: è la frase che meglio di tutte esprime la filosofia di Luis Enrique, che per mesi era però rimasta pura teoria. Lucho continua a stare molto antipatico ai francesi, che non gli perdonano l’altezzosità (“È inutile che le spieghi, non capirebbe”, rispose alla domanda di una giornalista di TF1) né il fatto che parli solo in spagnolo, però riconoscono che alla fine è arrivato dove voleva, plasmando una squadra sfavillante con il pallone tra i piedi e forse ancor più quando non ce l’ha e ne va alla caccia: soltanto il Liverpool, che è appena un pelo più meditativo, sa alternare le ondate del pressing e la riorganizzazione per riconquistare il pallone perduto nel minor tempo possibile come i parigini. E stasera li vedremo di fronte al Parco dei Principi. Un tempo il Psg era una formazione languida, nella penombra dell’attesa che qualcuno accendesse una luce, adesso L’Équipe definisce il suo calcio “un’armoniosa tempesta”. Definizione azzeccatissima.

La sfida al Liverpool

Saprà andare oltre al Liverpool? Lo sapremo a breve. Durerà? Sì, perché il Psg è la squadra più giovane delle 36 che hanno partecipato alla Champions: Neves ha vent’anni, Zaïre–Emery passa per veterano ma ne ha 18, Beraldo 21, il formidabile Barcola 22, le nuove proposte Doué, Zague, Mayulu e Mbaye tra i 17 e i 19. “La nuova stella del Psg è la squadra”, dice il presidente Al-Khelaïfi, che deve sempre barcamenarsi tra uno scandalo finanziario e l’altro ma intanto si dichiara “orgoglioso di aver trasformato la filosofia del club in così poco tempo”, passando dalla figurine alla figuracce e infine alle belle figure. La svolta è stata la partita del 22 gennaio contro il City, che pure stava diventando una pietra tombale: dopo 53’ il Psg perdeva 0-2, poi in una mezzora di dilagante bellezza ha fatto quattro gol e non si è più fermato, anche se gioca senza un centravanti vero (lo fanno in molti a turno incluso Kvaratskhelia, che si sta ambientando un poco alla volta) ammesso che Dembélé non lo si possa ormai considerare tale, lui che da ragazzo era un’ala strepitosa che si buttava via: a Barcellona passava le notti a giocare ai videogiochi e a mangiare hamburger e patatine, adesso s’è fatto uomo e quindi calciatore.

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