Non escludeva il ritorno, l’aveva soltanto derubricato a ultima ipotesi. Diceva di aspettare una nazionale e in fondo all’anima, la Roma lo è. Il cerchio si chiude, il passato non tiene mai fede alla sua nomea e – lo sappiamo bene – non passa mai. Perdere l’amore, hit epocale di Massimo Ranieri Massimo. Ritrovarlo, prerogativa dell’omonimo Ranieri, però Claudio. La prima volta da allenatore della Roma: 2 settembre 2009, subentrato a Luciano Spalletti, reduce da quattro anni e due sconfitte nelle prime due giornate di campionato. A firma firmata e concorrenza sbaragliata, disse Rosella Sensi: “Era il mio candidato preferito. Mio padre mi ha spiegato che Ranieri ha una dote che è più importante della sapienza tattica: la gestione del gruppo e dello spogliatoio”. Fischiano le orecchie dei Friedkin.
Il ritorno del Pacificatore
La seconda volta: 8 marzo 2019, in sostituzione dell’esonerato Eusebio Di Francesco. Disse James Pallotta: “Ranieri è un allenatore che conosce bene il club, comprende l’ambiente ed è in grado di motivare i giocatori”. Rifischiano le orecchie dei Friedkin. Il Calcio si alimenta di dejavù. Il già vissuto è una comfort-zone. La terza volta è questa: 13 novembre 2024, sull’asse Roma-Londra si consuma il ritorno del Pacificatore per eccellenza. L’allenatore dei “Zero Tituli” – definizione sprezzante conferitagli da Mourinho prima che Ranieri entrasse nella leggenda con il Leicester – dovrà, stavolta sì, ripartire da zero.
Ranieri l’Aggiustatore
L’ha fatto molte volte in carriera, conosce la materia e il perimetro entro cui si gioca la partita. Mister Tinkerman. L’Indeciso, ma anche: l’Aggiustatore. Fine gloria mai per il cattedratico più amato d’Italia che ha attraversato mari in tempesta senza mai fare un plissé, seminando molto, vincendo quando ha potuto, sempre lasciando una traccia. Gli va riconosciuta una, tra le tante qualità: si è sempre messo in gioco, sfidando il vento e la pigrizia, attitudine che – oltre l’apparenza di una posa placida – non gli appartiene, ma proprio per niente.
Una carriera iniziata nel 1986
73 anni compiuti il 20 ottobre, tappa numero 23 della sua carriera in panchina cominciata nel 1986, alla Vigor Lamezia, campionato interregionale calabro. Claudio, terzo figlio maschio di Renata e Mario, macellaio di Testaccio – il soprannome “Er Fettina” nasce lì – cresciuto all’oratorio di San Saba in piazza Gian Lorenzo Bernini; all’epoca aveva 35 anni e smesso con l’attività un attimo prima dopo 13 stagioni da professionista. A spingerlo verso la nuova avventura fu Gianni Di Marzio, che l’aveva allenato a Catanzaro.
Sulle panchine d’Europa
Da allenatore ha girato l’Europa – da Napoli a Valencia, da Londra a Parma, da Madrid a Milano, dal Principato di Monaco a Atene, da Leicester a Nantes, da Genova a Cagliari – tra le pagine chiare e le pagine scure ha vinto e perso, è stato idolatrato e pugnalato, applaudito e fischiato, celebrato e preso per i fondelli (“Ranieri chi???”, se la rise Lineker quando venne ingaggiato dal Leicester), ha gestito presidenti arroganti e spogliatoi bollenti, si è confrontato con campioni e presunti tali, i peggiori, questi ultimi. L’ha fatto a schiena dritta, con la posa che gli è consona, senza arretrare di mezzo metro, con quella dose di autoironia che lo preserva da tutto e che tutti ammalia, con la calma tranquilla di chi sa che il mondo gira altrove, questi sono soltanto rimbalzi del pallone.
Giallorosso su indicazione di Herrera
“Non potevo dire di no, Roma è casa mia”. Lo disse la prima volta (2009), lo ribadì la seconda (2019), lo dirà anche stavolta (2024). Entrò nella Roma – da adolescente – in un giorno d’autunno del 1968, proveniente dal Dodicesimo Giallorosso, su indicazione del Mago, Helenio Herrera, che l’aveva notato al campo delle Tre Fontane. Succedeva una vita fa, è stato un attimo. Roma, dunque. Di nuovo Roma, per sempre Roma. Per amore, solo per amore. Sembra Trigoria, è ancora Itaca.