ROMA — Stritolata dai fischi dell’Olimpico, contro l’Empoli la Roma di Daniele De Rossi riesuma i fantasmi del passato. Il ritmo da Champions League che aveva accompagnato la successione a José Mourinho lascia il passo a un’andatura sgraziata. Inappropriata per la buona riuscita del tango argentino interpretato da Paulo Dybala e Matias Soulé, che non vedevano l’ora di giocare insieme dopo il no della Joya all’Arabia. Al momento della convivenza, però, emergono i primi sintomi della crisi di coppia. “Dovevano chiudere sui quinti e ripartire. Non ci sono sempre riusciti, ci lavoreremo su”, ragiona il tecnico.
Dybala e Soulé, convivenza difficile
Stesso ruolo, stesso piede, stesse caratteristiche: la coabitazione sembra più difficile del previsto. Soulé corre prima a sinistra, poi a destra e pure al centro del campo, alla disperata ricerca di se stesso. Senza risultati, anzi: perde Emmanuel Gyasi in occasione del primo gol toscano. Dybala, decisivo dalla trequarti in su, ripiega e costruisce dal basso, lontano dalla sua area di competenza. “Sono mancate energia e intensità, la palla scorreva lenta e sempre indietro”, confessa sconfortato De Rossi.
Dovbyk non ingrana
Così la rivoluzione sul mercato assume un tratto inaspettatamente reazionario. Tanto che l’unico gol romanista dopo due giornate lo segna Eldor Shomurodov, il centravanti degli esuberi. Mentre quello titolare ancora non ingrana. Lì davanti Artem Dovbyk sperimenta la solitudine dei numeri primi, come quello che porta sulla maglia. “Andava servito meglio”, spiega ancora il tecnico, che schiera lo stesso centrocampo della passata stagione: Lorenzo Pellegrini, Leandro Paredes e Bryan Cristante, ruote di un ingranaggio inceppato, con l’argentino regista del colpo di scena più spaventoso dell’horror giallorosso (perde palla e causa il rigore).
Zalewski fischiato
Non connettono la difesa all’attacco e la Roma scende in campo scollegata sin dai primi minuti. Da subentrato Enzo Le Fée cerca a tastoni l’interruttore della serata, ma brancola nel buio. La sua corsa resta però una boccata d’ossigeno nella siccità generale. Nel frattempo Edoardo Bove, uno dei “bambini” di Mourinho, sfiorisce in panchina. Senza argini, la difesa a quattro frana. Ora De Rossi cerca la bussola dell’identità perduta, tra il difensivismo vietato e l’aspirazione giochista. Sperimentando da allenatore la ribellione del suo popolo: “Non sono d’accordo con i fischi a Zalewski. Va più forte di tanti altri e un supporto sarebbe fondamentale. Conosco questa città, il calcio è così ovunque. Vengono fischiati loro, verrò fischiato io”.
De Rossi: “Spazio a chi va più forte”
La rabbia dell’Olimpico suona come una condanna, De Rossi cercherà l’assoluzione allo Stadium contro la Juventus, col rischio di trovarsi un solo punto in tasca dopo le prime tre giornate, come Mourinho lo scorso anno. Per scongiurare l’infelice analogia il tecnico avrà bisogno degli uomini giusti, “quelli che vanno forte”, come dice lui. “Io devo essere bravo a sceglierli”, conclude De Rossi. Perché se la stagione della Roma non decolla, quella dei processi aleggia minacciosa.