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Ronny Rosenthal: “Le scritte antisemite di Udine mi ferirono, allo stadio tornerò in Israele”

Il giocatore israeliano rivive la sua brutta parentesi italiana, peraltro mai sbocciata: “Rimasi deluso, ero felice di venire in Italia ma poi quel rifiuto mi spalancò le porte del Liverpool”

Sono passati trentacinque anni da quell’estate infame. “Rosenthal go home” e “via gli ebrei dal Friuli”: la vernice impressa sul muro di cinta della sede dell’Udinese trasferiva i messaggi con cui un gruppo di razzisti, antisemiti, aveva accolto l’arrivo a Udine di un attaccante israeliano, Ronny Rosenthal. Poco dopo l’Udinese stracciò il suo contratto e che il motivo fossero quelle scritte è sempre stato più di un sospetto. Domani a Udine la Nazionale sfiderà proprio Israele: quasi una nemesi di quella vergogna. Rosenthal non ci sarà: «Ci avevo pensato, ma ho preferito di no: mia moglie ha la sclerosi multipla e non possiamo viaggiare molto. Vorrei andare allo stadio quando la nazionale israeliana tornerà a giocare in Israele».

Rosenthal, a distanza di tanti anni, a Udine sono annunciate manifestazioni pubbliche contro la nazionale israeliana.

«Ho paura che la partita possa essere strumentalizzata per fini politici. Dall’inizio della guerra, ogni volta in cui Israele gioca in quel posto ci sono manifestazioni. C’è sempre molta sicurezza intorno alla squadra, ma adesso sarà molto più intensa. Anche quando giocavo io c’erano agenti intorno a noi: meno di quanti ne servano oggi, ovviamente».

Udine inizialmente non aveva voluto dare il patrocinio al match.

«È un po’ strano che il comune non volesse patrocinare un grande evento in città, sono contento ci abbia ripensato. Ma non è solo Udine. È ridicolo che in Belgio abbiano spostato la partita in Ungheria. A causa dell’antisemitismo un Paese europeo non è più libero di organizzare una partita in casa propria come vorrebbe».

A lei fu impedito di giocare a Udine. Pensa sia stato per quelle scritte vergognose?

«Se è per questo che non sono stato preso, mi hanno fatto un favore: sei o forse otto mesi dopo ho firmato per il Liverpool».

E in quel momento cosa pensò?

«Ero molto, molto deluso. All’epoca non avevo sentito niente riguardo a scritte antisemite. Per quello che ne sapevo, ero il benvenuto. Ricordo che quando sono atterrato a Venezia per fare le visite mediche c’erano molti tifosi che ad aspettarmi all’aeroporto. Un giornalista mi aveva fatto una domanda in italiano, avevo capito quasi tutto e avevo risposto in francese, dicendo che ero felice di venire, cose così».

Ci racconta dall’inizio cosa successe?

«Giocavo nello Standard Liegi, avevo fatto una stagione fantastica, ero stato capocannoniere. Mi chiamò l’Udinese, in un paio di giorni era tutto fatto. Ero felice, andare in Italia era il mio sogno, la Serie A era il più grande campionato di calcio del mondo, c’erano gli stadi più belli e poi pagavano più di tutti. Tutti volevano andare in Italia. Comunque: i dirigenti dell’Udinese sono venuti da me a Liegi, ho firmato il contratto e sono arrivato in Italia per le visite mediche. Dopo la firma e i test medici sono stato in Israele per le vacanze, ma mentre ero a Tel Aviv un giorno ho preso il giornale e il titolo diceva: “c’è un problema medico per Rosenthal”, o qualcosa del genere”.

E a quel punto?

«Rimasi, come dire: sorpreso. Non capivo cosa stesse succedendo. Ho aspettato l’inizio di luglio, quando era previsto il raduno per i nuovi acquisti. Quando arrivai mi dissero che avevano trovato un’anomalia nella mia schiena, nelle vertebre. Non riuscivo a capire: nella mia vita non avevo mai avuto nessun problema medico. Sì, sono nato con questa anomalia, ma non mi ha mai impedito di giocare al top: Maccabi Haifa, Bruges, Standard Liegi».

In realtà c’era altro: quelle scritte antisemite.

«Sì, è vero. E poi loro avevano trovato un altro giocatore: Abel Balbo. O almeno: a quel tempo ho pensato che fosse questo il motivo. Lui aveva 21 anni, io 25. Giampaolo Pozzo, il padre di Gino, credo pensasse che fosse un affare migliore prendere Balbo: per prendermi doveva spendere più di un milione di dollari, nel 1989 erano tanti soldi».

Allora tornò a Liegi. Poi arrivò il Liverpool.

«E è cambiata completamente la mia vita. Sono andato in Inghilterra, sono rimasto lì a vivere, mio figlio è nato nel Regno Unito. Magari se fossi andato in Italia oggi vivrei a Milano. Ma vuole sapere una cosa divertente?».

Ce la racconti.

«Dopo il Liverpool sono andato al Tottenham e ho finito la carriera al Watford. Mio figlio Tom ha iniziato a giocare lì, è diventato un talento delle Academy. Mentre era lì Pozzo ha comprato proprio il Watford. Così, alla fine, è successo: un Rosenthal ha giocato in una squadra dei Pozzo».

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