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Runjaic: “Ho venduto polizze, case e caffè. So essere convincente”

Il tecnico tedesco alla guida dell’Udinese, nato in Austria e di origini serbe, ha iniziato la sua seconda stagione in A

UDINE — Kosta Runjai? in campo parla inglese, ma quando si arrabbia passa automaticamente al tedesco. «Sono tedesco, ho origini jugoslave, sono nato in Austria e ho allenato in Polonia», racconta l’allenatore, 54 anni, approdato un’estate fa a Udine. «A volte non mi accorgo nemmeno io di che lingua sto usando. Qui all’Udinese ci sono ragazzi da tutto il mondo, mi esprimo con il linguaggio del calcio, un vivace mix di termini tecnici in lingue diverse, combinato con gesti».

E con l’italiano come se la cava?

«Capisco sempre di più, ma non lo userò in pubblico finché non mi sentirò a mio agio».

Prima vendeva assicurazioni. Cosa conserva di quell’esperienza nel suo lavoro di allenatore?

«In entrambi i mestieri ti confronti con persone molto diverse e devi convincerle. A relazionarmi con tutti ho imparato da piccolo, e mi piace. A scuola, a Rüsselsheim vicino a Francoforte, ero uno dei pochi studenti di origini straniere. E giocando in strada avevo a che fare con adolescenti rudi e scontrosi».

Altri mestieri, prima di allenare?

«Ho venduto immobili e lavorato come barista nei fine settimana per arrotondare. Mi sono sempre impegnato al massimo».

Cosa le ha insegnato il lungo apprendistato come allenatore nelle serie inferiori tedesche?

«Venendo dal mondo assicurativo, all’inizio non potevo scegliere dove lavorare. L’importante era cominciare. Ho abbandonato la mia zona di comfort, ho superato battute d’arresto, ho seguito la mia strada. Il primo contratto da professionista è arrivato dopo anni. Al pomeriggio allenavo la mia squadra, ma la mattina ero al centro sportivo del Mainz 05 a studiare gli allenamenti di Jürgen Klopp».

Lei cita spesso John Fitzgerald Kennedy. Ci sono altre personalità che la ispirano?

«C’è una massima di Gandhi che per me è un mantra: prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono e alla fine vinci. Nel calcio, il mio eroe è Maradona. A Napoli ho chiesto al direttore sportivo Gökhan Inler di scattarmi una fotografia accanto alla statua di Diego. Giocammo una partita fantastica e credo che Maradona ne sia stato contento, dal cielo».

L’ultimo libro che ha letto?

«Il monaco che vendette la sua Ferrari di Robin S. Sharma. Un bestseller del 1997».

La sua carriera da calciatore è stata breve a causa di un infortunio. Come ha superato il trauma?

«Non lo definirei così. Ero poco più che ventenne, sapevo che la vita sarebbe andata avanti e sono diventato allenatore molto presto».

C’è uno psicologo nel suo staff?

«Stiamo pensando di introdurlo. Cerco qualcuno che porti buon umore ed energia».

L’anno scorso l’Udinese ha raggiunto la vetta della classifica per la prima volta dopo 13 anni. Qual è stato il segreto?

«Io e il mio staff abbiamo portato nuovi metodi di allenamento, un lavoro atletico diverso, video tutorial per la tattica. Abbiamo puntato sull’etica e sul rispetto. Questo ha ispirato i giocatori, soprattutto all’inizio. Poi c’è stato un calo, non insolito per le squadre di centro classifica. Rispetto alla scorsa stagione, vogliamo essere più costanti. Le parole d’ordine sono pressing aggressivo e azioni più veloci e mirate».

Le lavagne tattiche ovunque, i palloni oversize e il footvolley. Cosa non sappiamo dei suoi metodi?

«Ultimamente sto studiando come lavorano gli All Blacks».

Dove trova i video motivazionali che mostra ai suoi calciatori?

«Io e i miei assistenti abbiamo accumulato un enorme archivio negli anni. Non utilizziamo solo materiale già pronto, preso in prestito dal cinema o dallo sport. Realizziamo noi stessi i filmati».

Non avrà più Lucca né Thauvin: a Lecce litigarono come bambini su chi dovesse tirare un rigore.

«Lucca aveva preso la palla nonostante sapesse che spettava a Thauvin calciarlo. La squadra si aspettava una reazione da me, e ho sostituito Lorenzo. Messaggio passato, partita vinta. E Lucca ha capito di aver sbagliato».

La squalifica di Okoye è stata utile per mettere in guardia i giovani in squadra sui rischi delle scommesse?

«Più che altro, rappresenta una perdita dolorosa per noi, e ha tutto il nostro supporto. Fortunatamente, Sava ha dimostrato di saperlo sostituire».

Sánchez si è lamentato di aver giocato poco.

«Siamo tutti dispiaciuti che il ritorno di Alexis non abbia avuto il successo sperato. Non era destino. Gino Pozzo è in costante contatto con lui per trovare la soluzione migliore per tutti. Per Udine sarà sempre El Niño Maravilla».

Come ha accolto Pafundi, 19 anni, tornato dal prestito a Losanna?

«È un grande talento e un bravo ragazzo, lavora sodo. Sono soddisfatto dei suoi progressi. È veloce e agile. Ora dobbiamo portarlo al livello successivo. Stiamo cercando il ruolo migliore per lui, credo che sia più adatto al centro della trequarti, subito dietro le punte. Decideremo nelle prossime due settimane se per il suo sviluppo sia meglio giocare con noi in serie A o andare in prestito».

La sua famiglia è rimasta in Germania?

«Mia moglie lavora come dentista, non può cambiare Paese di frequente. I miei cari vengono spesso a trovarmi, i miei figli ormai conoscono il Friuli meglio di me. Il più grande lavora già in un’agenzia pubblicitaria, i due più piccoli vanno ancora a scuola. Nel tempo libero, sono grandi tifosi dell’Udinese. Giuro che non li ho costretti io».

Qual è il suo sogno da allenatore?

«Sognare è riservato ai tifosi, a me tocca il duro lavoro. Ma spero che un giorno potrò ripensare alla mia carriera e dire di avere vissuto un sogno».

E come uomo?

«Mi piacerebbe svegliarmi una mattina e parlare perfettamente italiano. Ma i sogni hanno più probabilità di avverarsi se non sogniamo troppo. C’è un libro di Eckhard Tolle che si intitola Now! The Power of Now. Insegna che viviamo meglio quando ci concentriamo sul qui e ora».

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