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Sannino: “In Italia non torno, troppi luoghi comuni. Allegri un grande, quante litigate con Gasp”

Il tecnico, reduce da una esperienza al Bellinzona, ha le idee chiare: “Guardo il mercato all’estero, non vivo sulla Luna”

L’estate di Beppe Sannino è cambiata in poche ore, come spesso è capitato nella sua carriera. Dopo aver salvato il Bellinzona con una seconda parte di campionato svizzero strepitosa, il cambio di proprietà, con il passaggio dalla famiglia Bentancur alla cordata ispano-colombiana guidata da Juan Carlos Trujillo, ha fatto saltare il banco. Oggi è in attesa di una chiamata, “principalmente dall’estero”, per riprendere a fare l’unica cosa che, insieme al tempo passato con la famiglia, lo rende felice: l’allenatore.

Beppe Sannino, se l’aspettava una fine del genere?

“No, il giorno dopo la notizia sarei dovuto partire per il ritiro. Capita quando ci sono cambi di proprietà. Sono subentrato da ultimo e in dieci partite ci siamo salvati alla grande: con la salvezza si è anche concretizzata la cessione del club”.

E ora? Tornerà in Italia?

“Guardo il mercato all’estero, non vivo sulla Luna. Sono andato via dall’Italia un po’ di tempo fa: difficile che torni, troppi luoghi comuni. So dove voglio arrivare, dove sono partito”.

Dove vuole arrivare?

“Ho 68 anni, molti pensano che sia vecchio, ma finché ho questa passione, finché sono lucido, curioso, fisicamente a posto, il mio lavoro è questo. Ho ancora molto da fare e da dare”.

Da dove è partito?

“Sono un ragazzo del Sud, trasferitosi a Torino con i miei per la Fiat. Sono passati quasi 60 anni. Avevo dei valori, giocavo a calcio per strada ma sono arrivato in Serie C. Poi a 31 anni ho deciso di allenare i ragazzini, lavorando la mattina e allenando la sera. Ho fatto sacrifici, una strada lunga, ho ingoiato amaro. Dopo tante porte in faccia, ho avuto l’opportunità di arrivare in serie A”.

Quale consiglio si sente di dare?

“Non prendere mai scorciatoie, prendi quello che la vita ti dà. Se prendi scorciatoie, se ne accorgono. È come una maratona, è impossibile non faticare ma quando arrivi sei felice”.

Soddisfatto della sua carriera?

“Non ho mai goduto dei successi che ho avuto, lo dice anche mia moglie. Penso già a domani. Il calcio è una centrifuga: basta un palo, una palla fuori e cambia tutto. Ho allenato in Europa League con l’Honved Budapest, in Champions e Confederation africana con l’Al-Ittihad Tripoli, in Serie A e B in Grecia. Inoltre ho un record a Varese: tre anni senza sconfitte in casa”.

Qual è l’esperienza che l’ha segnata di più?

“Tutte mi hanno dato tantissimo, anche quelle negative. Il percorso di una persona non è basato solo sui successi. Per arrivare in Serie A ho dovuto vincere quattro campionati consecutivi. Uno a Lecco, uno con il Pergocrema: eppure l’anno dopo sono rimasto fermo fino alla chiamata del Varese, ultimo in classifica. Abbiamo vinto il campionato, anche quello successivo: a un passo dalla Serie A siamo stati battuti in semifinale dal Padova di Italiano ed El Sharaawy”.

In quel Varese lavorava a stretto contatto con Sogliano…“Lui è un direttore sportivo che ha un cuore, dei valori, il più grande di tutti insieme a Sartori. Anche se quest’ultimo mi ha esonerato (sorride). Siamo partiti insieme dalla C2 e siamo quasi arrivati in Serie A. Ricordo ancora come iniziò, ci incontrammo alla stazione di Albizzate perché doveva cambiare allenatore. Le sue prime parole furono “Mister, tu mi stai antipatico”. “Tu no”, risposi. Da lì nacque un rapporto splendido che continua ancora. Ha valori incredibili, sani”.

Nella sua carriera ha spesso dato le dimissioni. Perché?

“Se non sto bene, è giusto che non lavori in quella società. Perché devo avere l’onta dell’esonero? Il capitano non abbandona mai la nave? È una sciocchezza, è per la marina non per il calcio”.

Non si è mai pentito?

“In Inghilterra, al Watford, ero secondo in classifica a un punto dalla prima dopo sei partite. Ho dato le dimissioni nonostante Pozzo abbia provato a trattenermi. A fine stagione il Watford è salito in Premier. Forse avrei potuto essere più elastico nei confronti del calcio inglese, per me il più affascinante del mondo”.

Perché ama la Premier?

“È un calcio diverso, ma non sul campo. È il contorno che mi ha affascinato. Un ambiente sereno, senza polizia, i tifosi, tuoi e avversari, ti chiedono autografi e foto, gli stadi sono bellissimi e senza barriere”.

Le emozioni le ha vissute anche in Italia…“Sì, ad esempio a Roma. Giocavamo contro Luis Enrique, allenavo il Siena ed ero esordiente. Non vedevo la Roma scaldarsi quindi ho chiesto al mio vice, Ciccio Baiano, perché non entrassero. Improvvisamente la Curva Sud ha iniziato a ribollire: da sotto escono Totti, De Rossi e gli altri. La curva impazzita, sembravano i gladiatori”.

A proposito di Luis Enrique, si aspettava tutti quei successi?

“A Roma era già un grande: umiltà, un ragazzo alla mano. Quando lo senti parlare non ha filtri: può sembrare arrogante ma è un uomo vero, che sa quello che fa”.

L’ha anche studiato, vero?

“Non ho studiato il gioco, ma perché c’è quell’armonia. Il Psg vince non perché è più forte degli altri, ma perché c’è un’alchimia diversa. Merito suo perché è un uomo vero, e il vero non deve essere bello o brutto. Questo mi piace di lui. Vorrei incontrarlo”.

Intanto in Serie A è anche tornato Allegri…“È un grandissimo allenatore: nel calcio ci sono gli allenatori e i gestori intelligenti. Conte costruisce giocatori e gioco, Allegri gestisce i grandi campioni dando un’idea. Non è facile, ci vogliono personalità, competenza”.

Gasperini riuscirà a ripetersi a Roma?

“Si parla sempre di progetti, ma spesso dopo due partite il progetto è saltato. Anche Gasperini ha rischiato, ma ha vinto con il Pescara schierando i ragazzini ed è diventato l’uomo più importante di Bergamo. Con lui ho litigato tante volte, ma è un grandissimo allenatore. Ha un carattere forte e anche in una piazza come Roma può fare bene”.

Contento della scelta di Gattuso?

“Mi piace, lui arrivò a Palermo dopo di me. Poi Zamparini lo esonerò, così gli mandai un messaggio dicendogli che dopo l’esonero del presidente, sarebbe diventato un grandissimo allenatore. È un uomo vero: manca una persona come lui, che dia vigore, credibilità, valori morali a quelli che vestono la maglia della Nazionale”.

Qual è secondo lei il problema del calcio italiano?

“Non riesco a capire, grandi talenti fino all’Under 20, poi si perdono. Forse a un certo punto perdono umiltà, la fame di voler raggiungere i traguardi. Impossibile che tanti ragazzi che ci danno tante speranze si perdano. Ad esempio a Pio Esposito consiglio di non guardare in faccia a nessuno, far vedere ai grandi campioni il suo carattere”.

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