PARIGI – Cappellino bianco in testa, Luis Enrique scruta la partitella da una piattaforma aerea, gracchiando ordini con la sua voce roca: ritma il pressing poi si zittisce, lascia spaziare lo sguardo, si fa abbassare la pedana al livello del terreno, distribuisce qualche suggerimento intimo e poi torna su, a scrutare e gracchiare. “È il comandante della nostra nave”, dice con una certa riverenza João Neves, quello scricciolo di portoghese di vent’anni che però in campo s’ingigantisce come il suo conterraneo Vitinha (25 anni, un vecchione), un altro con l’aspetto esile ma la tenacia del fil di ferro. Dalla tolda della nave, Lucho distribuisce ordini in spagnolo, come anche i suoi vice: il francese è una lingua di minoranza mentre Donnarumma, che pure lo mastica ormai bene, non ha perso l’istinto di strillare italianissimi “mia!” e “lascia!”.
Dembélé ambisce al Pallone d’oro
Questo è il Paris Saint-Germain a dieci giorni dalla finale di Monaco e a tre da quella di Coupe de France con il Reims, che mercoledì sera era in campo nello spareggio per evitare la retrocessione: i parigini s’alleneranno inglobando l’ennesimo trofeo, anche se la coppa dalle grandi orecchie l’hanno al massimo sfiorata con le stelle e le stelline. Però se la figurano invece adesso che si ripetono l’un l’altro che “la stella è la squadra”. Qualcuno, per la verità, fa anche il nome del comandante Lucho, o di Dembélé che ambisce al Pallone d’oro. E di Donnarumma, certo: “È stata una delle chiavi della stagione. Senza le sue parate non saremmo qui”, è la convinzione di Vitinha.
Luis Enrique: “Sarà una delle finali più spettacolari”
Luis Enrique è alla seconda finale e se la vincesse centrerebbe il secondo triplete, traguardo raggiunto solamente da Guardiola: sognava di farcela anche Flick, prima che gli capitasse tra i piedi l’Inter. “Mi sono goduto le due semifinali con il Barcellona prima come tifoso culé e poi come allenatore: che belle!” esclama Lucho, che da qualche tempo ha messo da parte la boria che lo rendeva antipatico ai boriosi parigini e ha cominciato a uscire dal suo isolamento monastico. Adesso parla velocissimo e sorride spesso. È un entusiasta: “La finale sarà una delle più spettacolari degli ultimi anni perché, anche se loro sono superiori fisicamente e hanno l’esperienza per gestire ogni momento della partita, noi e l’Inter ci somigliamo: ci piace tenere la palla, siamo squadra”. Eccolo, il suo mantra: essere squadra. “Dieci anni fa tutti mi dicevano che era facile vincere con quelli (era il Barcellona di Messi, Neymar, Iniesta, ndr), ma oso dire che feci un lavoro straordinario. Qui abbiamo invece un progetto di costruzione: avere dei campioni che si mettano a disposizione della squadra e non viceversa, cosa per niente facile nel calcio di oggi. Guardando in profondità i dati, l’aspetto che abbiamo migliorato di più è il lavoro difensivo degli attaccanti, eccezionale”. E nonostante questo (e nonostante la vedovanza da Mbappé) i gol arrivano a frotte. “E tutti eravamo convinti che al massimo ne avremmo segnati la metà”. Insomma: questa è la sua creatura perfetta, quella che ha sempre sognato di plasmare. “Dieci anni fa prima della finale ero stressatissimo, adesso sono tranquillo e trasmetto tranquillità alla squadra”. Ma chi vince, poi? “Chi lo sa, non sono divino. So solo che continuerò a fare degli errori: l’importante sarà farli con convinzione”.