Alla Gazzetta dello Sport, Ronaldo il Fenomeno ha raccontato cosa voleva dire essere un attaccante ai suoi tempi, quando in campo non c'erano 100 telecamere a partita e le punte erano molto meno tutelate rispetto ad ora:
"Vengo da una generazione nella quale in campo picchiavano tanto. Madre mia. Le partite non erano come oggi che ci sono 15-20 telecamere, in un Clasico 60, al Mondiale mille. Oggi si vede tutto. Ai miei tempi i difensori ti minacciavano, ti sputavano, ti pestavano i piedi, ti picchiavano. Sono cresciuto come un sopravvissuto."
Ronaldo infatti, rivela, si sentiva proprio come un gladiatore nell'arena:
"Io mi sentivo esattamente così. Eravamo come dei guerrieri, ci buttavano nell’arena per vedere chi ne usciva vivo. La pressione che avevo addosso mi spingeva sempre più verso il basso e un ragazzo così giovane non sa come comportarsi, come affrontare cose tanto grandi. Oggi tutte le squadre hanno uno psicologo, noi eravamo soli, nessuno parlava di salute mentale. Ho fatto una gran fatica, e ho imparato tanto prendendo ceffoni da ogni parte. Due anni e mezzo fa ho iniziato a fare terapia e la cosa mi ha aiutato a capire meglio anche cosa ho sentito prima".
Infine, parla anche della Serie A di oggi, molto diversa da quella dei suoi tempi:
"Guardo con attenzione la Serie A e anche la Serie B, perché sono un malato di calcio, ma soprattutto perché con l’Italia ho una relazione speciale. Il momento è complicato, ma credo che non tutti i mali vengano per nuocere. Il fatto che l’Italia non si sia qualificata per i Mondiali per due volte consecutive genera un dibattito su cosa bisogna fare e credo che ora tutti abbiano in testa la soluzione. Il campionato deve migliorare e per farlo devono esserci maggiori introiti, i club devono guadagnare di più. Bisogna investire sui giovani e nel calcio di base, cercare più talento locale e trovare un equilibrio tra italiani e stranieri. La Serie A per anni è stato il miglior campionato del mondo e sapete come fare le cose".