Questo sito contribuisce alla audience di
 

Serie A, stranieri in campo per il 70 per cento del tempo: 20 anni fa era l’opposto

Nel 2005/2006 i calciatori italiani giocavano 7 minuti su 10. Oggi la proporzione è all’opposto. Assocalciatori: “Si lavori sui vivai come in Spagna, per il bene della Nazionale”

Milano – Ormai ci siamo. Il 2005/06 è stata l’ultima stagione in cui almeno il 70 per cento dei minuti in Serie A è stato giocato da calciatori italiani. Vent’anni dopo, nel 2025/26, si prevede che la percentuale si invertirà, con la presenza italiana sotto il 30 per cento. Nel girone d’andata del campionato in corso, il 66,91 per cento dei minuti è stato giocato da stranieri, con una crescita del quattro per cento rispetto ai primi mesi del campionato precedente. E questo nonostante non sia più in vigore il decreto Crescita, che premiava con sgravi fiscali le aziende (fra cui i club di calcio) che portavano in Italia talenti dall’estero.

L’allarme di Assocalciatori

A raccogliere in un dossier i dati, rilevati dal CIES, è l’Associazione Italiana Calciatori, che nell’ultima riunione del Consiglio federale ha sollevato la questione: “Non stupiamoci se nel 2006 vincevamo il Mondiale in Germania, mentre agli ultimi campionati del mondo nemmeno ci siamo qualificati. Le norme non permettono di difendere la presenza di italiani con provvedimenti protezionistici. Ma se vogliamo bene alla Nazionale, dobbiamo fare qualcosa”, dice Umberto Calcagno, presidente dell’AIC.

Il confronto con l’estero

In nessun campionato europeo la sproporzione fra stranieri e locali, a favore dei primi, è così marcata. Facendo riferimento alla stagione scorsa, per cui si hanno dati definitivi, nei club di Serie A il 61,7 per cento dei tesserati era straniero. In Premier League la percentuale è del 58,6 per cento. Negli altri tre grandi campionati continentali, i giocatori con nazionalità locale – e quindi selezionabili per la nazionale – sono invece più numerosi rispetto a chi viene da fuori. In Bundesliga la quota di stranieri si ferma al 49,7 per cento. In Ligue 1 gli stranieri sono il 41,8 per cento del totale. E in Liga appena il 37 per cento. Il minutaggio va di conseguenza.

Gli under 21 e i frutti del vivaio

Il dato generale sulla presenza di stranieri si conferma anche per quanto riguarda i giovani. Nel triennio 2021/24, in Serie A, appena il 46 per cento dei 221 calciatori under 21 scesi in campo era italiano o comunque selezionabile per la nazionale perché in possesso di doppio passaporto. La percentuale sale al 55 per cento in Bundesliga, al 58 in Premier League, al 73 in Ligue 1 e addirittura al 78 in Liga, dove sopravvive la cultura della cantera e i giovani talenti vengono coltivati in casa. Nel massimo campionato spagnolo, il 21,7 per cento dei tesserati della stagione 2023/24 era cresciuto nelle giovanili del club stesso. La percentuale scende al 14,3 per cento in Ligue 1, al 13,2 in Bundesliga, al 13,1 in Premier League e addirittura all’8,1 per cento in Serie A, ancora una volta fanalino di coda.

Le regole e la cultura

Sarebbe logico pensare che nei campionati stranieri ci sia una maggiore tutela, dal punto di vista delle regole, della presenza di giocatori del posto. In realtà, è vero il contrario. “In Italia abbiamo norme che limitano la presenza di stranieri, in Spagna no. Il problema ha quindi origini culturali e gestionali. I club ci ripetono che costa meno prendere stranieri già formati piuttosto che crescere giocatori in casa”. Oggi in Serie A ogni club può tesserare due nuovi extracomunitari all’anno, ma almeno uno deve sostituire un extracomunitario già ceduto. Fanno eccezione i giocatori con passaporto di paesi che hanno accordi con l’UE (come l’Argentina con il trattato di Cotonou), che possono essere tesserati senza occupare slot extracomunitari. Nessun limite, invece, per i comunitari, come stabilito dalla sentenza Bosman del 1995.

L’avvocato: “La giustizia Ue impone libertà”

L’avvocato Federico Venturi Ferriolo, partner & head of sport di LCA, insieme a Lorenzo Vittorio Caprara e Daniele Tosi, ha scritto il libro “Il settore calcistico giovanile”. Dopo avere studiato approfonditamente il tema, commenta: “I limiti alla presenza di calciatori extracomunitari non possono essere eccessivamente restrittivi, poiché rischierebbero di violare le norme dell’Unione Europea sulla concorrenza e la libera circolazione dei lavoratori. Nel 2021, la Corte di Giustizia dell’Ue ha stabilito che l’obbligo imposto dall’UEFA e dalla Federazione calcistica belga di includere un numero minimo di giocatori formati nel proprio vivaio potrebbe costituire una discriminazione indiretta basata sulla nazionalità. Tali restrizioni possono essere ammesse solo se giustificate dalla promozione dello sviluppo dei giocatori e se proporzionate a questo obiettivo, con la valutazione finale che deve essere affidata ai giudici nazionali”.

L’onda lunga della sentenza Bosman

Nel 1980, in Italia, la soglia di stranieri per squadra era di uno solo, poi aumentata a tre nel 1988. Nel 1995, la sentenza Bosman ha cambiato tutto: la Corte di Giustizia dell’Ue ha infatti stabilito che i giocatori comunitari non possono essere considerati stranieri, eliminandone i limiti per il tesseramento. Da lì, la progressione della percentuale di stranieri, a livello continentale, non ha fatto che crescere. Il 18 gennaio 2006, a Treviso, l’Inter di Mancini è scesa in campo con undici stranieri, per la prima volta nella storia della Serie A. Il 30 dicembre 2009, in Premier League, durante un Portsmouth-Arsenal, non scese in campo dall’inizio alcun giocatore inglese. Nel 2016, sempre con l’Inter in campo, successe la stessa cosa in Serie A: nella sfida fra nerazzurri e Udinese, al via, non c’era nemmeno un italiano. Si scatenò il dibattito sulla necessità di porre un freno al numero di stranieri. Nove anni dopo, quel freno non è stato posto, anzi.

Segui tutte le ultime notizie di sport

Next Post

Le probabili formazioni di PSV-Juventus (Champions League)

Mar Feb 18 , 2025
Le probabili formazioni di PSV-Juventus (Champions League)

Da leggere

P