In un mondo perfetto, o anche soltanto meglio organizzato, questo pomeriggio Tudor e Chivu non schiererebbero le formazioni che manderanno in campo né si scervellerebbero per trovare soluzioni a problemi che non avevano immaginato di avere. Sono due allenatori nuovi e giovani che pilotano, lo juventino da marzo e l’interista da giugno, squadre che non erano state costruite per loro ma anzi modellate (la Juve un’estate fa, l’Inter negli anni) su principi di gioco molto diversi dai loro. Senza contare che Thiago Motta e Inzaghi erano, ciascuno a suo modo, degli integralisti: diciamo che la flessibilità non era il loro forte. Tudor e Chivu flessibili devono esserlo per forza, ma è anche vero che entrambi sono alla prima esperienza in una squadra da scudetto e dunque non hanno ancora l’autorevolezza, e magari pure l’arroganza, per pretendere e non soltanto per domandare.
Chivu e le scelte di mercato dell’Inter
Non ci sono però dubbi che Chivu avrebbe voluto ritoccare l’architettura fissa dell’Inter inzaghiana aggiungendo fantasia e dribbling sulla trequarti, ma la società ha battuto la pista Lookman e poi l’ha abbandonata senza studiare un piano alternativo. Inoltre ha liquidato Zalewski, che nell’uno contro uno era quello a cavarsela meglio. Luis Henrique sarebbe in teoria un giocatore adatto a rompere le righe ma nella pratica ancora non si è visto, in ogni caso lui e Sucic erano stati acquistati ben prima che a Marotta venisse l’idea di promuovere Chivu (neanche si pensava che Inzaghi se ne andasse, a quei tempi). Così l’unico nerazzurro nuovo in campo sarà Akanji, elemento di spessore internazionale che però non ha risolto un altro dei sedimentati problemi interisti, vale a dire l’elevatissima età media della difesa: lo svizzero ha un anno più di Pavard. Chivu si adegua, cosa deve fare d’altronde un debuttante che rileva una squadra che viene da due finali di Champions in tre anni?
Tudor e l’intransigenza da moderare
Tudor ha esperienza in più, tante volte ha levato le tende perché le sue idee non si accordavano a quelle della società (alla Lazio, per esempio), ma alla Juve sa di dover moderare di molto la sua intransigenza, un po’ per la grandezza del club e un po’ perché la Juve è la Juve, la squadra che ama. Degli uomini che ha è soddisfatto («L’Inter ha la rosa migliore degli ultimi quattro anni, io ho la mia opinione ma non è il momento di dire chi è più forte, chi è favorito»), ma di sicuro l’avrebbe corretta volentieri.
Il mancato arrivo di Kolo Muani
Se giovedì Comolli aveva detto che «Openda è il giocatore ideale per noi», come se lo avesse deliberatamente preferito a Kolo Muani, ieri Tudor (che pure stima molto il belga e ne apprezza le caratteristiche che lo differenziano dagli altri attaccanti) ha precisato che «il trequartista lo può fare, ma in una squadra di poco gioco, che aspetta e riparte. Da 5-6 mesi stiamo facendo un certo tipo di calcio, ma Openda può giocare solo se stai basso e vai in contropiede, perché lui ha bisogno di spazi».
Il modulo da rivedere presto
Perciò Tudor sa che, essendosi ritrovato con tre centravanti in organico, presto o tardi gli toccherà rivedere il suo 3-4-2-1 basato sulla fantasia dei trequartisti (interessante quell’annotazione sulle squadre «di poco gioco», cioè che lasciano la palla agli avversari) per provare a mettere assieme due attaccanti puri più Yildiz. Anche sulle fasce deve arrangiarsi, perché «sarebbe bello giocare con due ali, ma l’equilibrio è la prima cosa». Quindi a destra c’è Kalulu e non Joao Mario, che per Tudor «è un’ala». Il terzino Alberto Costa, che nel Porto sta facendo benissimo, sarebbe stato più conforme. Ma questo mica è il mondo perfetto.