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Simone Pafundi: “Via dall’Italia per giocare, sui giovani troppe pressioni”

Il talento 17enne dell’Udinese che gioca nel Losanna è pronto per l’Europeo U19 con l’Italia: “In Svizzera sono più libero, da noi c’erano un’attesa eccessiva e poche opportunità. Vedere Yamal brillare mi piace molto, col lavoro posso arrivare anche io ad alti livelli”

Quando Roberto Mancini era il ct dell’Italia, diceva: «Prima convoco lui, poi tutti gli altri». Lui è Simone Pafundi e oggi debutta con l’Italia contro la Norvegia a Belfast all’Europeo U19 in Irlanda del Nord.

Pafundi, partiamo dal principio: il 16 novembre del 2022 a 16 anni, 8 mesi e 2 giorni lei è diventato il calciatore più giovane dal 1911 ad aver esordito in azzurro. Ricorda quel giorno?

«E chi se lo scorda. Mancini mi ha chiamato all’88’, mi stavo scaldando: mi sono preparato in un attimo, sono entrato e da quel momento non ho più capito nulla. Dalla mattina avevo intuito qualcosa, un po’ ci speravo ma non è che fossi tanto sicuro di giocare».

Per lei però l’esperienza è finita lì. Invece all’Europeo dei grandi la star è Yamal, che ha l’età che aveva lei al debutto azzurro. E non è l’unico.

«Sono molto felice per loro. E vedere Yamal fare quelle prestazioni piace, piace parecchio. Io non sono lì, è vero, ma penso che con il lavoro ci posso arrivare».

Che consigli le dava Mancini?

«Il mister mi ha sempre detto di stare tranquillo, non mi ha mai messo pressioni, anche quando uscivano cose su di me. Mi ha riempito di consigli. Mi diceva: dai tutto quello che hai. E con lui ho sempre cercato di fare del mio meglio, gli sarò sempre grato».

Da bambino prodigio a emigrante: ci racconta la scelta di lasciare l’Udinese per il Losanna?

«Sono andato via per giocare. Venivo da un anno pieno di pressioni, è stata la scelta giusta. È un campionato in cui ho meno pressioni, sono più libero. Contento».

Pressione, pressione: continua a ripetere questa parola.

«Se uno esordisce molto giovane in Nazionale e poi in Serie A, la stampa, la gente, si aspetta molto. Io però di opportunità ne ho avute poche. Per scelte che posso rispettare serenamente. Sono tranquillo, penso che l’unica cosa che devo fare ora è far bene questo Europeo Under 19».

Ecco, l’Europeo. L’Italia lo ha vinto un anno fa per la prima volta. Sentite la responsabilità di dover difendere il titolo?

«No, responsabilità no. Magari parlerei di voglia: voglia di replicare quel percorso. Siamo tranquilli, siamo una squadra forte, ci stiamo divertendo. Ed è importante».

Intanto nel girone avete evitato Spagna e Francia: siete dalla parte giusta del tabellone.

«Saremo pure dalla parte giusta, ma per vincere una delle due dobbiamo beccarla. Le ambizioni sono alte. Lo staff è ottimo, i giocatori sono forti. Si possono fare grandi cose. L’obiettivo minimo è qualificarci per il Mondiale Under 20, meglio se arrivandoci dalla semifinale».

Qual è il suo primo ricordo legato al calcio?

«Quando accompagnavo mio fratello alla scuola calcio, da bambino. Lui aveva sei anni, io ne avevo quattro e ancora non potevo frequentare. Però mi mettevo a bordo campo e rompevo le scatole all’allenatore: gli chiedevo di continuo di farmi fare gli allenamenti, e più mi diceva di no, più insistevo».

Non ha mai ceduto?

«Una volta sì. L’avevo esasperato talmente tanto… e poi c’era mia madre, quindi alla fine mi fece allenare un po’ con i grandi».

Ricorda la prima volta in cui è entrato in uno stadio?

«La mia famiglia è originaria di Napoli e mi portarono al vecchio San Paolo. Ma non si giocava nessuna partita, era vuoto e io ero piccolo piccolo. La prima vera volta allo stadio è stata in Serie A: prima a Udine, quando andai in panchina contro lo Spezia. E poi la settimana dopo a Salerno, il giorno dell’esordio. Lo stadio era una bolgia, bellissimo. Un bel ricordo».

Quali sono i suoi interessi fuori dal campo?

«Mi piacciono altre cose oltre al calcio. Mi piace giocare a ping pong, guardare il tennis. Avevo una passione per Federer: è sempre stato il mio tennista preferito. Purtroppo però oggi la sua classe non ce l’ha nessuno».

Lei gioca in Svizzera, lì è esploso un ragazzo italiano che qui sembrava quasi essersi perso: Riccardo Calafiori.

«Il percorso mio e suo può essere simile. Lui lo ha fatto che era diciannovenne, io sono andato via a diciassette. L’ho incontrato a Coverciano a giugno, abbiamo giocato contro ma non ci siamo parlati, ci siamo solo salutati. Credo che lui sia di ispirazione per tanti ragazzi per quello che ha fatto».

Lei come si vede tra dieci anni?

«Vorrei essere un giocatore della Nazionale».

Non si sente dire spesso.

«La Nazionale è l’emozione più grande che un calciatore possa provare. Io quell’emozione l’ho vissuta già. Ma ero piccolo, voglio provarla ancora, con più consapevolezza».

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