LONDRA – Il calcio non è tornato a casa in Inghilterra, ma a casa ci va Gareth Southgate. Dopo otto anni alla guida della Nazionale dei Tre Leoni, l’ex difensore si è dimesso da allenatore: “È stato l’onore della mia vita giocare per l’Inghilterra e poi allenarla. Ma ora è tempo di cambiare”. “Time to change”, come il motto del nuovo primo ministro britannico Keir Starmer, andato inutilmente a Berlino per la finale persa contro la Spagna. Ma loda così Southgate: “Hai riportato speranza e fiducia in un Paese che a calcio aveva sofferto così tanto negli ultimi anni. Ci hai fatto sognare con dignità e onore. Grazie”. Riconoscente pure il principe William, erede al trono e presidente della Federazione calcio inglese: “Gareth, voglio ringraziarti da tifoso per averci riportato al top, con umiltà, compassione e leadership”.
Southgate, 53 anni, è stato proprio questo. Un allenatore umile, elementare Watson, con l’indelebile macchia del rigore ciccato contro la Germania agli Europei in casa del 1996, entrato nel giro della nazionale undici anni fa con l’under 21 e dal 2016 commissario tecnico di un’Inghilterra allora in crisi esistenziale: traboccante di aspettative e campioni, ma sempre sbertucciati dalla cruda realtà e dal marmoreo amarcord di quel trionfo a Wembley nel 1966.
Il grande rilancio, ma anche due finali europee perse
Con Southgate, invece, la nazionale dei Tre Leoni arriva subito in semifinale ai mondiali 2018, eliminata dai croati. Quattro anni dopo, fuori immeritatamente contro la Francia ai quarti, anche per un rigore sbagliato da Harry Kane. Ma soprattutto, con Southgate l’Inghilterra ha raggiunto e perso due finali agli Europei. Quella di tre anni fa contro l’Italia a Wembley e la prima di sempre “sul suolo straniero”, come amano ripetere gli inglesi, domenica scorsa. Altra sconfitta, meritata.
Anche con Capello Leoni inoffensivi
Comunque ottimi risultati per una nazionale che, persino con Capello, Lampard, Gerrard, Beckham e Rooney, dopo il 1996 non riusciva più a superare nemmeno i quarti di finale. Eppure, Southgate non ha compiuto l’ultimo passo di maturità: vincere. La finale del 2021 contro l’Italia è emblematica. Subito il gol del Shaw, poi la ritirata in un incomprensibile catenaccio nonostante i 70mila spettatori di casa, per non parlare dei rigoristi inseriti al 120esimo. Alla vigilia degli ultimi Mondiali, avevamo intervistato Southgate a St George’s Park (dove si allena l’Inghilterra) e lui ci aveva detto che “era pentito di quelle scelte e che non vedeva l’ora di rifarsi”. Invece, tre giorni fa ci è ricascato.
Futuro da politico o ancora nel calcio?
Eppure, nessuno in federazione voleva che Southgate si dimettesse. Anche sui giornali, era un coro di esortazioni a restare, a parte il giornalista Martin Samuel e pochi altri. Ma nello spogliatoio c’era chi non sopportava il suo difensivismo, visto il bazooka offensivo dell’Inghilterra. In ogni caso, re Carlo ha già pronta un’altra onorificenza per lui, il governo Starmer potrebbe addirittura farlo Lord e a quel punto non è escluso che nel prossimo futuro Southgate possa diventare addirittura ministro dello Sport. A meno che non si ributti nella mischia: per esempio al Manchester United di Sir Jim Ratcliffe, se Ten Haag dovesse definitivamente fallire.
Aperta la successione, non mancano tentazioni dall’estero
Ma intanto chi si prenderà cura dei Tre Leoni? Gli insulari Eddie Howe del Newcastle e Graham Potter ancora stipendiato dal Chelsea sono i favoriti, insieme all’allenatore dell’under 21 Lee Carsley. Outsider Gerrard e Lampard. Ma ci sono forti tentazioni esotiche: Thomas Tuchel, Jürgen Klopp, Mauricio Pochettino, tutti disoccupati, e persino divinità vincenti come Ancelotti e Guardiola. Dopo Eriksson e Capello, un altro papa straniero riproverà il miracolo di riportare il calcio a casa?