Lo immaginiamo assorto a rielaborare la sconfitta, nell’appartamento di Milano con vista sulle torri del quartiere Isola. Il giorno dopo la sconfitta in Nations League a San Siro contro la Francia Luciano Spalletti lo avrà passato a studiare quei 90 minuti. Il veleno nella coda rischia di guastare il sapore della nuova Italia. Per la Nazionale di Spalletti è il momento del processo: l’udienza è aperta.
Cosa va: il rinnovamento
Le prove a sostegno del lavoro di Spalletti non mancano. La prima: il coraggio di rinnovare. In Germania l’Italia era uscita dall’Europeo senza trovare un regista. Ora ne ha due: il torinista Ricci e il laziale Rovella. Pensieri veloci, piedi educati. Ci voleva fegato per affidare la Nazionale a due ragazzi senza esperienza europea, ma ora il ct può passare al banco e riscuotere. Discorso che vale anche per Maldini, capace di elettrizzare l’attacco fin dal debutto a Udine: lo ha rifatto a San Siro. Sono tappe di un percorso avviato un anno fa con Udogie e Cambiaso, poi in estate con Calafiori. Il prossimo: lo juventino Savona.
Identità
Nei giorni più bui dell’Europeo, il blocco interista manifestò al ct, in un incontro rimasto storico, il desiderio di giocare col modulo che conosceva meglio. Quando c’è stato da ricostruire dopo la disfatta di Berlino, Spalletti è ripartito da lì. Modulo fisso, 3-5-2 e sue varianti, il più utilizzato in Serie A. Poi: le pedine giuste al posto giusto a costo di qualche sacrificio. E un’identità tattica chiarissima. L’Italia sembra quasi invitare gli avversari a pressarla per poi sorprenderli sfruttando la sua qualità migliore: i cambi di gioco per gli esterni. Cambiaso e Dimarco sono le ali su cui la Nazionale è tornata a volare a Parigi, Udine e Bruxelles.
Entusiasmo
Volti nuovi e gioco esaltante hanno prodotto il più importante dei risultati conquistati da Spalletti. Il ritorno di un entusiasmo contagioso all’interno della squadra. Ne è stato specchio Tonali, la stella mancata nel recente passato: “Non vediamo l’ora che arrivi il prossimo raduno”. La squadra si diverte, sa cosa fare e quello che fa le piace. Il ct ha saputo svuotare il gruppo di qualche scontento: ha tagliato alcuni “vecchi”, anche reduci dell’Europeo vinto, che rischiavano di fare da tappo ai nuovi. Ha sacrificato i caratteri meno compatibili col gruppo o chi pretendeva di giocare a prescindere. Il risultato è evidente.
I gol presi su calci da fermo
Anche l’accusa ha argomenti da spendere, però. E anche prima della sconfitta con la Francia, quando la lista era molto asciutta, un problema era evidente: la tenuta della difesa sui calci da fermo. Giocando a zona, serve più cattiveria, quella che prima a Buongiorno e poi a Locatelli è mancata a San Siro. Ma non sono i soli. Era già capitato due volte contro Israele e nei due gol costati la rimonta del Belgio all’Olimpico. Sei gol presi tutti nello stesso modo: non può essere soltanto un caso.
Poco turnover
Molti se lo saranno chiesto, leggendo i nomi degli undici scelti per la Francia: non era il caso di cambiare qualcosa? Dal campo, con la squadra apparsa lenta, la spietata conferma. Perché non fidarsi di alternative come Kean, mai stato continuo come in questo inizio di stagione, Udogie, titolare fisso del Tottenham in Premier, o Raspadori, uno dei ragazzi che hanno accompagnato Spalletti allo scudetto di Napoli. Il ct non ha letto i segnali che indicavano la stanchezza di alcuni elementi: l’ingresso dei nuovi ha rinfrescato le idee, ma era troppo tardi.
L’identità da difendere
C’è un altro elemento che non è sfuggito. La differenza di ritmo tra Locatelli e il resto della squadra. Manuel sta giocando una straordinaria stagione nella Juventus. Ma ha bisogno di tempo per entrare nella manovra azzurra. Anche perché non è un regista. In quella posizione è più adatto Rovella, che ha bisogno di un tempo di gioco in meno per far girare la palla. Lanciarlo titolare contro l’avversaria più forte è stato un rischio.
Difesa contro accusa: le prove sono sul tavolo. Per la sentenza non resta che attendere le qualificazioni ai Mondiali.