Andiamo a Berlino, Luciano. Con tutta la sofferenza del mondo, stretto nella giacchetta blu con dietro scritto enorme Italia, Spalletti ha portato gli azzurri a un ottavo di finale difficile, pericoloso ma stupendo contro la Svizzera di Xhaka, che per poco non vinceva contro la Germania padrona di casa. La Svizzera che contro l’Italia non vince dal 1993, è vero, ma che con due pareggi sanguinosi ci ha escluso dal Mondiale del Qatar.
Nervosismo e risposte
L’appuntamento è per sabato 29 giugno alle 18, quando l’Olympiastadion ancora sarà illuminato dalla luce del sole. Il ct ha fatto quel che aveva promesso: ha sporcato il completo di Armani, cambiando modulo, spirito e approccio e trascinando una squadra non stellare a giocarsi la fase a eliminazione diretta senza il patema della classifica delle terze classificate nei gironi. Ma l’adrenalina diventa tensione, nervosismo. Prima ammette che: «Nella nostra partita ci sono cose illogiche, tante ancora da mettere a posto. Ma questa qualificazione è meritata». Poi si è innervosito per chi ha raccontato che il 3-5-2 scelto per affrontare la Croazia dal primo minuto era un “patto con i giocatori”: «Questa cosa gliel’hanno detta, e chi racconta le cose di spogliatoio fa male alla Nazionale. C’è un dentro lo spogliatoio, e un fuori». Poi, il bastone, ancora, ma alla sua squadra. «Nel primo tempo siamo stati sotto il nostro livello per capacità di gioco. Mi aspetto di più dai miei giocatori. La Croazia è una grande squadra, è abituata a questi livelli». Ha continuato a discutere, con i giornalisti, in diretta. Perfino con Fabio Capello.
Discussioni in tv e la domanda di Capello
Quando gli si è chiesto in tv del cambio fra Pellegrini e Frattesi, ha parlato di tattica pura: «Sul nostro quinto arrivavano male. La mezzala deve portarsi dietro l’avversario fino alla bandierina. Invece non arrivavamo a sfruttare il potenziale tattico della nostra squadra». Poi, appoggiata la lavagnetta degli schemi, si è lanciato nella strigliata vera, di quelle che fai solo quando vinci. «Non siamo riusciti a giocare una palla in uscita. Così non c’è modulo che funzioni. Nel primo tempo abbiamo perso palloni che non vanno persi. Nel secondo siamo andati anche sopra il nostro livello. Ma bisogna fare meglio con quattro difensori e bisogna fare meglio con tre». È stato un collega che stima, Fabio Capello, a fargli la domanda più brutale: a questa Italia manca qualità? Ha risposto piccato, trattenendo a fatica il fastidio per la domanda: «I giocatori li abbiamo, ma facciamo errori banali. Dobbiamo fare di più. Calafiori era a livello top. Barella e Jorginho hanno fatto buone partite».
Bravo Jorginho, quindi. Lui, che mezza Italia vorrebbe relegato in panchina. E che contro la Svizzera nel 2021, proprio contro la Svizzera, sbagliò due rigori. Della squadra che pareggiò per due volte contro gli elvetici è cambiato molto, oltre al ct. Non c’è più Bonucci, ritirato. Non c’è Acerbi, infortunato. Locatelli è stato lasciato a casa, come anche Belotti e Insigne. La Svizzera in questi quasi tre anni non si è rivoluzionata. In panchina c’era e c’è Yakin, che non punta più in attacco su Okafor, a cui preferisce il bolognese Ndoye, ma che per il resto ha confermato la fiducia ai suoi uomini di sempre, che lo hanno portato prima in Qatar e poi a questo Europeo tedesco: Sommer, portiere dell’Inter. Akanji, che l’Inter l’ha battuta in finale di Champions a Istanbul. Freuler, cresciuto con Gasperini prima e Thiago Motta poi. Giocatori che conosciamo e che ci conoscono. Ma c’è tempo per pensare agli avversari. Nella notte più bella del suo cammino azzurro finora, prima di sedersi in conferenza stampa, Spalletti ha pensato ai suoi tifosi. Agli ultimi cinquecento, rimasti a esultare nello stadio deserto. Si è avvicinato, li ha ringraziati, si è preso i complimenti. E se li porta a Berlino.