Questo sito contribuisce alla audience di
 

Sparwasser, l’uomo che con un gol anticipò la caduta del muro: “Io, eroe mio malgrado”

L’ex centrocampista della Ddr segnò la rete che condannò alla sconfitta i “cugini” dell’ovest ai mondiali del ‘74. Poi fuggì in Occidente. Adesso si racconta in un libro

Jurgen Sparwasser ha le mani tese verso il cielo di Amburgo, Sepp Maier e Berti Vogts a terra sembrano quasi meditare sul loro destino. La foto di un gol è quella di un’epoca, di quelle che quando le vedi riavvolgi il nastro e ricordi esattamente dove ti trovavi in quel momento. Giugno 1974, mondiali in Germania, la DDR batte la corazzata dell’Ovest che 15 giorni dopo sarebbe comunque diventata campione del mondo. L’autore di quel gol sarà in Italia il 7 dicembre, una tre giorni tra Roma, Bologna e Milano per presentare il libro ‘’Sparwasser, l’eroe che tradì’, di Giovanni Tosco.

Signor Sparwasser, ma in uno stato come la DDR dove c’erano leggende olimpiche come Renate Stecher e Roland Matthes, anche nel calcio c’era spazio per gli eroi?

“Non troppo. Ogni bambino della Germania est sognava di andare in tv con la medaglia olimpica al collo, ma da solo. E sceglieva gli sport individuali, non certo la carriera di calciatore”.

Lei con quel gol eroe lo diventò, salvo poi essere tacciato di tradimento quando saltò il muro nel 1988. Eppure sarebbe bastato attendere un anno.

“Quando me ne andai, nelle strade c’era già uno strisciante malcontento, questo è vero. Ma che il muro potesse cadere con quella repentinità non era una cosa inimmaginabile”

Fu una decisione istintiva o tormentata?

“Ci furono tanti colloqui in famiglia. Io e mia moglie ne parlammo a lungo con nostra figlia. Lei condivise con noi la decisione, ma aveva ancora molte cose da mettere a posto nella sua vita e disse che ci avrebbe raggiunto in seguito. Noi andammo perché in quel momento mancava ogni tipo di prospettiva alla nostra vita”.

Torniamo alla partita di Amburgo. La pressione della sfida ai capitalisti iniziò già al momento del sorteggio?

“In Italia avete percepito le cose diversamente. Noi eravamo abituati a giocare grandi partite internazionali, La pressione è stata unicamente sportiva, mai però da parte delle autorità”.

Eppure sembra che il capo della Stasi Erich Mielke fosse terrorizzato di prendere una goleada, ma che il vostro ct Bueschner lo tranquillizzò

“Mielke non l’ho mai incontrato o conosciuto, ma anche la storia della Stasi… Per esempio, nel periodo dei mondiali le persone che ci tenevano tra virgolette confinati in hotel per garantire la nostra sicurezza- così dicevano -, erano comunque della Repubblica Federale. Non esisteva un cordone della Stasi per non farci scappare. Capisco però che queste storie possano esistere, fanno parte della narrativa”.

In fondo avevate il biglietto da visita di aver battuto il mese prima un certo Gianni Rivera

“Si, a Rotterdam nella finale di Coppa delle Coppe. Di quella sera ricordo ovviamente Rivera ma anche Kalle Schnellinger. La maglietta me la scambiai con Gianni e la regalai a un compagno che lo aveva marcato ed era alle ultimissime partite con il Magdeburgo. Comunque tutto il calcio della Germania Est era di buon livello, c’era il Carl Zeiss Jena, la Dynamo Dresda che per poco non eliminò il Bayern in Coppa dei Campioni”.

A proposito di campioni italiani. Ci spiega la storia dello scambio di maglia con Tardelli?

“Dopo un Magdeburgo-Juventus. Ufficialmente non c’era una direttiva in merito. Potevamo scambiarci le maglie con i giocatori del blocco capitalista, ma senza farlo apertamente. Tardelli però, che io conoscevo già dalle giovanili, mi chiese la maglia appena finita la gara e la scambiai con lui in campo. Trovai la cosa normale, però averlo fatto sotto l’occhio della tv scatenò un putiferio”.

E come erano i rapporti con i giocatori della Germania Ovest?

“Buonissimi. Ho tanti amici, in particolare Sepp Maier e Paul Breitner. Con quest’ultimo scambiai la maglia dopo la gara del 74. Lui mise all’asta la mia per raccogliere fondi quando ci fu l’alluvione a Dresda nel 2002, e nipote mi suggerì di fare altrettanto con la sua. Siamo riusciti a raccogliere 35.000 euro”.

Nel meraviglioso film “Le vite degli altri”, emerge una vita della DDR fatta di spionaggio e delazione. Lei si sentiva spiato?

“No, anche se non posso escludere che ciò avvenisse. Certo, una volta arrivato all’ovest sono stato prudente, non ho mai parlato male della DDR per evitare di mettermi nei guai da solo. Poi esiste tanta letteratura, si diceva che la Stasi fosse capace di avvelenare persino le maniglie della porta di casa… Penso però che non tutte le cose della DDR sono da buttare al macero. Io per esempio ho potuto studiare e diventare atleta”.

In Germania ci sono Ostalgie (la nostalgia della DDR) e l’avanzata della destra. Come lo spiega in una democrazia consolidata come quella tedesca.

“Noi abbiamo vissuto per 40 anni in un mondo che a modo suo funzionava. C’era lavoro e casa per tutti, La possibilità di studiare e di fare sport, e anche l’accesso alle cure mediche era garantito in maniera orizzontale. Con il nuovo modello occidentale si sono create delle disparità sociali, che paradossalmente sono le stesse su cui punta l’estrema destra per pescare nell’elettorato”.

Il sistema sportivo della DDR era anche aiutato dal doping. Era così anche nel calcio?

“La pratica doping esisteva senz’altro. Va anche detto che venivano più a cercare a casa nostra la mela marcia che nei paesi capitalisti, ma il doping esisteva e la storia lo ha dimostrato. Però era più praticabile per un atleta che in vista di europei, mondiali o olimpiadi potesse fare un percorso senza controllo e arrivare pulito all’evento. Noi del calcio avevamo sempre test a sorpresa dopo le partite, sarebbe stato difficile sfuggire, Infatti gli sport di squadra non sono mai stati coinvolti”.

Perché la sua carriera di allenatore all’Ovest è durata poco?

“Non ho mai desiderato allenare, ma fare altro. Appena smesso di fare il calciatore ho fatto il docente all’università per pedagogia sportiva, era un mestiere che mi piaceva tanto, potevo finalmente stare in famiglia. All’ovest ho provato, ma il problema è che non basta insegnare calcio. Bisogna pensare a tante altre cose, relazionarsi continuamente con i media. Non era una cosa adatta a me”.

Cosa le è rimasto della DDR? Torna ancora nella sua Magdeburgo?

“Ci torno una volta l’anno. Ci diamo appuntamento con i vecchi compagni di squadra, ognuno con le rispettive famiglie. E facciamo tre giorni di grande festa”

Segui tutte le ultime notizie di sport

Next Post

Suzuki, l’intervista: “La tecnologia è il segreto delle mie parate. Così sarò il n.1 al mondo”

Ven Dic 6 , 2024
Il portiere giapponese del Parma è una delle rivelazioni del campionato

Da leggere

P