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Stefano Pioli, ritorno in viola: “La Nazionale? Non era il momento. Vinceremo per Astori”

Il tecnico si è ripreso la Fiorentina, dove era già stato giocatore e allenatore, dopo un anno in Arabia Saudita: “Ho allenato Cristiano Ronaldo, è immenso e migliora chi gli sta vicino. Napoli favorito per lo scudetto con Inter e Milan. Mi incuriosisce Cuesta”

FIRENZE – Dopo lo scudetto al Milan ha allenato Cristiano Ronaldo nell’unico anno di Erasmus dorato che si è concesso in Arabia, all’Al-Nassr. Poi Stefano Pioli, a 59 anni, è tornato a Firenze, dove è stato giocatore e tecnico, per prendersi «tante responsabilità» con la Fiorentina. Vuole «alzare il livello», riportando la squadra in Champions dove manca da quindici anni, e vincere dopo tre finali perse (due di Conference, una di Coppa Italia) un trofeo nell’anno del centenario (il 2026). Una coppa da dedicare al suo capitano per sempre, Davide Astori.

Pioli, bentornato in Serie A. È emozionato?

«Sì, perché ho deciso con il cuore. Sento di essere al posto giusto nel momento ideale della carriera per caricarmi tutti i pesi sulle spalle. Al presidente Commisso ripeto spesso che la Fiorentina ha investito su di me, ma che anche io ho investito sulla Fiorentina».

Torna in viola con un tatuaggio tricolore sul braccio fatto dopo la festa scudetto del Milan nel 2022.

«E in valigia ci sono entusiasmo, passione e competenze. Più di prima chiedo ai giocatori un atteggiamento mentale giusto perché per tagliare traguardi prestigiosi conta più l’attitudine della qualità. Non mi interessa se i calciatori vanno a mangiare la pizza insieme, ma pretendo che in campo facciano quello che gli chiedo. Qui però ho trovato un gruppo sano, quindi partiamo avvantaggiati».

Parlando di abnegazione, all’Al-Nassr c’era Cristiano Ronaldo.

«Solo lavorando con Cristiano si ha la percezione di quanto sia immenso. È un’entità che smuove tutto ciò che ha intorno. Allenarlo è facile perché non devi mai ricordargli niente. Con il suo spirito migliora chi lo circonda. Avendo 40 anni si deve autogestire, sa bene cosa può o non può fare».

Cosa spinge i campioni affermati a volersi migliorare ogni giorno?

«L’ossessione. Oltre a CR7, l’ho vista in Klose alla Lazio e in Ibra al Milan. Per arrivare al top non devi pensare a nient’altro che al tuo obiettivo. Io amo arrivare al campo alle 7 e andarmene alle 18 per avere il tempo di sistemare tutto. Anche un’uscita fuori con la famiglia va calcolata in base alle ore di riposo necessarie e all’alimentazione corretta. Per questo solo in pochi diventano campioni».

Chi ammira fuori dal calcio?

«Ho stampata nella mente una frase di Michael Jordan: “Allenati come se non avessi mai vinto, gioca come se non avessi mai perso”. Un esempio, proprio come lo è Sinner. Jannik ha un talento immenso, ma la sua vera forza è la voglia di migliorare in ogni allenamento».

Anche la famiglia Pioli è ossessionata dal calcio. I suoi fratelli, Leonardo e Danilo, hanno allenato tra i dilettanti.

«Quando eravamo ragazzini non c’erano telefonini e videogiochi, ma solo il pallone. Ricordo un anno meraviglioso in cui il calendario del Parma, la nostra squadra del cuore, all’epoca in C, si alternava con quello della Reggiana, serie B: una domenica tutti al Tardini e l’altra a Reggio Emilia. Il massimo per noi».

Com’è invece la vita a Riad?

«Tranquilla e sicura ma monotona. Gli stranieri vivono in quartieri privati dove non manca niente ma, quando esci, vai solo al ristorante o al centro commerciale. La mia famiglia si è annoiata un po’».

Le associazioni internazionali per i diritti umani accusano il sistema calcio arabo. Sul governo saudita c’è l’ombra dello sportswashing.

«Ho collaborato con persone serie, precise e rispettose. Anche nel quotidiano ho assistito a situazioni per noi italiani normali che non mi aspettavo di trovare».

Com’è la serie A vista da lontano?

«Un torneo interessante e in salute: ci stiamo avvicinando alla Premier, anche se non la eguaglieremo. Loro pagano un calciatore medio 30 milioni, cifra che noi spendiamo per un giocatore di punta».

Tra i volti nuovi sulle panchine della A, chi la incuriosisce di più?

«Cuesta al Parma. Mi farà effetto salutare un collega di 30 anni. Ammiro chi garantisce standard alti da subito, io per arrivare ho dovuto fare una gavetta lunga».

Il Napoli rivincerà lo scudetto?

«Se la giocherà con Inter e Milan. Anche se Allegri non vuole che lo dica (ride, ndr), ha il grande vantaggio di non giocare le coppe».

La Nazionale non potrà fallire con Estonia e Israele, in palio c’è il Mondiale. Gattuso ce la farà?

«È l’uomo giusto per guidare l’Italia. Un’altra esclusione sarebbe preoccupante per il sistema».

Anche lei è stato accostato alla panchina azzurra.

«Mi ha fatto piacere, ma in questo momento una nazionale non è quello che voglio, amo la routine del club. Credevo che Ranieri accettasse per chiudere una carriera meravigliosa. Dopo il suo no, anche io ho pensato a Gattuso».

Il Milan la stava per esonerare, poi lei è rimasto e ha vinto lo scudetto. Si è gustato la rivincita?

«È stata più che altro una grande gioia, che mi ha dato felicità e notorietà. Nessuna rivincita, quando sei al livello più alto sei sempre in discussione. Più sono esagerati i complimenti, più lo diventano le critiche».

Al 7° turno tornerà a San Siro per Milan-Fiorentina. Si commuoverà?

«Credo proprio di sì. L’anno dello scudetto si era creata un’atmosfera magica, il coro “Pioli is on fire” mi ha divertito molto. Ho guidato una squadra fantastica».

La sua Fiorentina le sta piacendo?

«Sì, ringrazio Commisso perché ha trattenuto giocatori forti e persone di spessore come Kean, De Gea, Gudmundsson, Fagioli e Gosens. È la base su cui costruiremo il progetto nei prossimi due anni».

La permanenza di Kean è un punto di svolta?

«Volevo Moise al Milan, anche se c’era chi parlava male di lui. Niente di vero, è un ragazzo serio che dà tutto. È un amico di Leao: due persone dal cuore grande».

Perché ha voluto Dzeko?

«In campo è un professore. Fuori un esempio per i più giovani».

Il tridente con Kean, Dzeko e Gudmundsson è sostenibile?

«Dipenderà dagli altri otto, dall’avversario e dal tipo di partita. Non è lo schema a vincere, se ci sono le condizioni ne metto anche quattro di giocatori offensivi».

Cosa si aspetta dal mercato?

«Un paio di innesti. La società sa cosa mi serve. Commisso mi piace perché è schietto e diretto, se c’è un problema lo affrontiamo».

La Champions è un sogno?

«Deve essere il nostro traguardo. Ci dovremo arrivare attraverso idee e un pizzico di sfrontatezza, sicuri cioè di potercela giocare con tutti».

Domani l’andata del preliminare di Conference contro gli ucraini del Polyssia. Si giocherà in Slovacchia.

«Lo sport a volte ti fa riflettere su ciò che di terribile accade nel mondo. Purtroppo abbiamo capito che il conflitto non finirà presto».

Poi in campionato a Cagliari.

«Terminerà la luna di miele dopo un’estate di belle parole che hanno accompagnato il mio ritorno (ride, ndr). Sono già pronto a fare grandi discussioni con i miei amici: se mi ci metto non mollo, sono testardo».

L’ultimo trofeo viola è la Coppa Italia del 2001. I tifosi ne sognano uno nell’anno del centenario.

«Ne sono consapevole, è una responsabilità e uno stimolo».

Con una coppa in mano, a chi andrebbe il primo pensiero?

«A Davide Astori, il mio capitano. Qui lo sento ancora più presente. Non so immaginare che effetto mi farebbe, ma sarebbe incredibile vincere per lui».

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