CHARLOTTE – Dopo tre settimane di allenamenti, e altrettante partite, Petar Sucic dice questo dell’Inter. «È un gruppo stupendo. Quando sei nuovo, temi che qualcuno possa guardarti con sospetto, invece mi hanno accolto benissimo».
Lei si fa voler bene: l’assist per Pio Esposito contro il River Plate ha portato la squadra agli ottavi del Mondiale per Club.«Ho riguardato l’azione sul telefono. Potevo girarmi, ho saltato un avversario, ho trovato spazio. Pio ha fatto il resto».
Ha un destro notevole. Il sinistro come va?«Ci lavoro fin da bambino. Mi esercitavo per ore calciando contro il muro. Papà diceva che è importante usare due piedi».
Con la Dinamo Zabagria ha perso lo scudetto all’ultima giornata. Cerca una rivincita in Serie A?«È stata dura, e questo mi mette ancora più fame. All’Inter voglio mettermi alla prova su un nuovo livello, su più fronti. Per questo sono qui».
Chi le ha consigliato di scegliere l’Inter?«I compagni di nazionale: Kovacic, Brozovic, Perisic. Mi hanno detto di fare le valigie. Mi danno dritte sulla vita a Milano, ma non ho ancora una casa, siamo partiti subito. Appena ho firmato, ho ricevuto un bel messaggio di Lautaro».
In che lingua?«In italiano, un po’ lo capisco. Ma il contenuto è privato».
In pubblico, invece, Chivu ha detto che nei momenti difficili bisogna “mangiare la m…”. Un’immagine forte.«Ci ha motivati, ha ragione. Quando le cose vanno male, bisogna lottare».
Lei è cresciuto in Bosnia a Kandija, 300 abitanti. Che effetto le ha fatto vedere Los Angeles?«Non sono rimasto affascinato, né impressionato. Ero lì per giocare a calcio, non per fare giretti in città».
Qui a Charlotte è molto caldo. I brasiliani sono più abituati di voi a queste temperature….«Sì, ma conosciamo il nostro valore. Si parte alla pari. Si tratta di mettercela tutta per un’ora e mezza».
Luka Modric ha detto che agli Stati Uniti preferisce l’Europa.«Per me in America è la prima volta. Per ora do ragione a Luka».
La emoziona l’idea di Modric al Milan?«Lasciamolo firmare. Fino a quel momento, non lo chiamo. Per dieci anni ho visto il suo calcio, sfidarlo sarebbe bellissimo».
Aveva la sua foto in camera, da bambino?«Non avevo foto di nessuno. Studiavo lui, Iniesta, Xavi, Busquets. Mi piaceva il gioco dell’Arsenal. Ma non voglio imitare altri. Mi piacerebbe essere ricordato per come sono».
Lei è nato in Bosnia, è croato, tifa il serbo Djokovic.«Mi piace come gioca a tennis, la nazionalità non c’entra».
Per voi, nati dopo il conflitto, cos’è la guerra?«I miei genitori mi dicono che non era una bella cosa, e che noi giovani siamo fortunati, possiamo vivere la nostra vita».
Ha fatto le giovanili della nazionale bosniaca, poi ha scelto la Croazia.«Noi siamo croati. Più di tutti ci teneva mia nonna. Mi ha dato molto. Pagava la scuola calcio, ho cominciato grazie a lei. Ho quattro fratelli, di soldi non ce n’erano molti».
Vivevate in una fattoria, fuori dal paese.«I miei ci abitano ancora. Li ho aiutati a renderla migliore. Ci vive anche mia nonna. Dopo una vita di fatica, si riposa e si diverte».
Lei come se la cava nella vita di fattoria?«So fare tutto: il latte, il formaggio, le salsicce. Quando sono a casa, do una mano a mio papà e a mio fratello».
È religioso?«Sì, e ora che sono in Italia mi piacerebbe andare a Roma per sentire il Papa».
Come immagina la sua vita dopo il pallone?«Non riesco a immaginarla. Sono contento di essere abbastanza giovane per non doverci pensare».