CAGLIARI – “Lo scudetto? Ci sono tante partite. Ma spero non vada a Inter, Milan e Napoli. Dico Juve. Però è anche il momento dell’Atalanta”. Stefano Tacconi tira su gli occhiali. L’ex portierone della Vecchia signora sistema il giaccone. Chioma e pizzetto argento raccontano di salite e risalite. Tutte senza scampo o quasi. A Cagliari per il festival Lei, “Tarzan”, come veniva chiamato ai tempi della Juventus pigliatutto, presenta il suo libro “L’arte di parare – Trovare il coraggio di fronteggiare i tiri della vita”. Pagine che narrano di forza d’animo e voglia di non mollare. Ma anche di un riassetto con le priorità della vita: “Non ho ascoltato Giampiero Boniperti: mi diceva, Stefano conta fino a dieci. Ho fatto l’esatto contrario, andavo a duecento all’ora, senza freni. E il conto è arrivato! Implacabile”.
Il malore e la riabilitazione
Ischemia cerebrale, prognosi riservata, interventi chirurgici da brivido, coma. Una riabilitazione lunga e feroce. Stefano parla con voce roca. Pesa le parole. Cerca con lo sguardo la moglie Laura. Le sorride spesso. Un sorriso tenero, che sa di buono e profondo. L’aria da guascone non è scomparsa. Magari è solo un filo, ma si avverte. “Aprile 2022, un mal di testa feroce all’improvviso. Ho perso conoscenza. Mi ha salvato mio figlio Andrea, levandomi la lingua dalla gola”. Stefano riavvolge il nastro. Lo fa con energia e quel genere di fratellanza che cattura il pubblico.
Tacconi: “Mi piace Carnesecchi”
A Teatro Doglio Simona Rolandi, volto della Domenica sportiva, lo sollecita. Si parla di fede, speranze, medici, nuovi amici e fisioterapisti. Riappare quel sorriso, sornione e complice. “Il mio erede in serie A? Non c’è. Mi piace Carnesecchi, ha grinta, senso della posizione, coraggio. Farà strada”. Sulla coda del campionato, poche storie: “Il Cagliari si salva, lo allena un signor allenatore: ho giocato con Davide Nicola a Genova. La squadra è in buone mani”.
Il diploma di cuoco
Perugino, classe ’57, dal 1983 al ’92 alla Juventus, Tacconi condivide con Victor Baia un record sontuoso: ha vinto tutte le cinque competizioni Uefa per club. “No che non dimentico. Ma ricordo anche l’annata ’84/85 in cui con Trapattoni giocai poco. Un momentaccio. Quello più bello? I rigori parati nella finale dell’Intercontinentale contro l’Argentinos Junior”. Titoli internazionali, scudetti, una Coppa Italia. La storia siamo noi, canta Francesco De Gregori. La storia di Tacconi mette in fila anche alcuni passaggi infruttuosi in politica, il rientro in campo tra i dilettanti a 51 anni, il diploma di cuoco. “Con mio figlio ci piace lavorare su vini di alta qualità. Ci credo? Sì, ho alle spalle mia moglie e i nostri quattro figli. Solo questo fa la differenza”.
Le chiamate dell’avvocato Agnelli
I ricordi, noti e meno noti, corrono veloci. La Coppa dei campioni vinta “nella notte maledetta dell’Heysel: l’abbiamo dovuta giocare per motivi di sicurezza pubblica” è in bacheca. Platini (“Fumava le mie sigarette, lui non le comprava mai!”), Zoff (“Il più grande di tutti!”), Vialli, Cabrini, Laudrup e Brio sono lontani. I duelli con Bodini e Peruzzi e le telefonate dell’avvocato Agnelli pure. “Chiamava alle 5.15, aveva già letto tutti i giornali. La prima volta pensai a uno scherzo e lo mandai al diavolo. Mi richiamò il suo segretario! Arrivai alla Juve che avevo i capelli alla Abatantuono, me li fecero tagliare e dovetti indossare giacca e cravatta”.
Il gol preso da Maradona
Flash in bianco e nero, emozioni a colori. Riappare la riabilitazione: “Sì, è stata tosta. Mi legavano al letto, il cervello era andato indietro di anni. I compagni? Mi sono stati vicini, da Tardelli a Marocchi al povero Schillaci”. Stefano è negli almanacchi anche per aver subito una rete impossibile su punizione di Maradona: “Mi diceva che era stato il suo gol più bello! Sono contento che l’abbia fatto a me”. Il passato. Il presente ha una cornice speciale: “Ho giocato una partita complicata. Sono serviti supplementari e rigori. Ho vinto io. Ma Laura e i miei figli sono stati fondamentali per vincerla”.
Il messaggio ai giovani
La saletta stampa del Teatro comincia a movimentarsi. Compaiono operatori tv e piccoli tifosi a caccia di selfie. Stefano c’è. “Ai giovani dico di seguire i propri sogni e di non arrendersi mai”. L’uomo, il campione, la famiglia. Gli offrono una pardula, dolce tipico a base di ricotta. Apprezza e ricorda: “Quando si giocava al sant’Elia gli allevatori degli Juventus club ci portavano in ritiro pezze di pecorino: buonissimo! Vi lascio immaginare la puzza in aereo al rientro!”. Si ride. Ma dura poco. “Lasciare gli ospedali e tornare a casa è stata la svolta per ritrovare un pezzo di normalità”. La medicina adeguata per rialzarsi. “La lezione? Me la tengo tutta: sono più presente nella vita delle persone a cui voglio bene. E adesso conto sempre fino a dieci prima di fare qualsiasi cosa”.