Thiago Motta è un ex juventino e pure un ex granata, benché sia uno dei due esordienti sicuri (l’altro è Vanoli) dei venticinque, tra allenatori e giocatori, che stasera scopriranno per la prima il derby di Torino. Lui però dentro Juve e Toro c’è già stato, ci è cresciuto. Era un ragazzetto, aveva quindici anni, indossava una maglia granata con una vistosa J sul petto, ma non c’è nulla di distopico in tutto questo: Motta è semplicemente stato un calciatore del Clube Atletico Juventus, formazione brasiliana che dalle due squadre torinesi prese da una il nome e dall’altra i colori sociali. Quest’anno festeggia il centenario, attualmente milita della serie A2 del campionato paulista ma ha vissuto giorni migliori. Thiago Motta, che vi ha giocato dal 1997 al 1999 prima di trasferirsi al Barcellona (è stata l’unica squadra brasiliana in cui abbia militato), non è l’unica vecchia gloria del club: il più celebre è stato Julinho, attaccante della nazionale verde oro e della Fiorentina che vinse lo scudetto nel 1956. E anche i viola, come vedremo, in qualche modo c’entrano.
“Lo” Juventus, orgoglio del quartiere italiano di San Paolo
Sul motivo per cui “lo” Juventus si chiami così e vesta quei colori esistono due versioni, comunque non per forza discordanti. Quello che è storicamente certo è cha la società venne fondata nel 1924 da Rodolfo Enrico Crespi, emigrato nel 1893 da Busto Arsizio a San Paolo, dove aprì prima una società che importava olio e vino e poi il Cotonificio Rodolfo Crespi, con sede nel quartiere di Mooca, una sorta di enclave italiana nella metropoli paulista. Quando venne creata la squadra prese il nome dell’azienda, Cotonificio Rodolfo Crespi Futebol Clube, e i colori sociali erano il nero, il rosso e il bianco, ma nel 1929 risalì fino alla prima divisione del campionato paulista e dovette cambiare nome perché i regolamenti vietavano che un clun si chiamasse come l’azienda che lo finanziava.
Crespi era stato poco tempo prima in Italia, aveva assistito al derby di Torino (i granata nel 1928 vinsero lo scudetto) e ne era rimasto affascinato, per cui decise di ribattezzare la sua società Juventus senza poter però adottare i colori bianconeri, già di squadre come il Corinthians e il Santos. Né volle mantenere il bianco-rosso-nero delle origini, uguale a quello del San Paolo: scelse quindi il granata del Toro.
Perché il nome “Juventus” e i colori granata
Leggenda vuole, però, che in quel viaggio in Italia Crespi portò con sé i due figli, che diventarono uno della Juve (il primogenito, Adriano) e l’altro del Toro (il minore, Dino): per accontentarli entrambi diede alla squadra il nome e il colore più belli. Per un breve periodo, tra il 1933 e il 1935, divenne Clube atletico Fiorentino, adottando come simbolo il giglio e uniformi viola, ma con l’ingresso nel professionismo si tornò al granata juventino, mai più mutato: quelle divise color sangue sulle quali campeggia una J bianca su sfondo nero possono sembrare stranianti, ma a loro modo hanno fatto la storia e lo Juventus, chiamato abitualmente Juventus da Mooca, è sempre stato e continua a essere un riferimento per gli italiani di San Paolo (Motta non andò lì per caso, le sue origini rodigine ebbero un ruolo) e nella sede del club si tengono regolarmente corsi della nostra lingua e si gioca a bocce, come in Italia nell’altro secolo. La famiglia Crespi lasciò il club nel 1950, ma lo stadio porta ancora il suo nome. E la torcida juventina sventola bandiere granata.