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Thiago Motta e il possesso palla per cambiare pelle alla Juve

I dati (a Lille il 66 per cento) confermano il processo di crescita dei bianconeri, che devono però migliorare nell’efficacia

TORINO – Il dato in sé non significa nulla, può voler dire una cosa e il suo contrario, determinare il grado di controllo o quello di inefficacia, ma nel caso specifico va preso come l’indicatore di una trasformazione: a Lille, la Juventus ha sfiorato il 66 per cento (65,9) di possesso palla, una quota enorme e non usuale per un’italiana in trasferta. A Lipsia, pur giocando una parte della gara in dieci, arrivò al 55%. A certe percentuali bulgare (ma nel calcio bisognerebbe dire percentuali spagnole) arrivano di norma squadre come il City o il Barcellona, abituate ad esercitare il controllo (in genere con efficacia). Per un club di casa nostra non è così, ma è proprio per questo che la Juventus ha assoldato Thiago Motta, affinché le cambi pelle e le dia una dimensione più internazionale, ammesso che il possesso palla possa misurarla. A Lille, tra l’altro, è scesa in campo la Juve più giovane mai vista in Champions, con un’età media di appena 24 anni e 159 giorni: è una squadra agli inizi.

Gli sforzi di Thiago Motta

Il dato del possesso palla lo prendiamo, appunto, come un indicatore. Ci illustra gli sforzi che sta facendo Motta per imporre il suo calcio anche in Champions, dove è più facile trovare squadre che ti attacchino invece che farsi attaccare, come invece accade in serie A. L’allenatore italo-brasiliano ai suoi chiede di mantenere la palla anche come strumento difensivo e non solo per il vecchio adagio “se la palla ce l’abbiamo noi non ce l’hanno gli altri”, ma anche perché tramite il possesso, che nella sua mente non è esercitato tramite il palleggio ma soprattutto con i cambi di fronte e gli uno contro uno (niente a che vedere con il tiqui-taca, dunque), punta a circondare l’avversario nella sua zona difensiva, allontanandolo dalla propria.

Una Juve aggressiva

I principi del gioco di Motta sono essenzialmente due: la mobilità dei giocatori senza palla, di modo che chi ne ha la disponibilità abbia sempre diverse soluzioni per smistarla, e il rapido recupero dei palloni perduti per stroncare il prima possibile l’azione di ripartenza dell’avversario. A Lille questo ha funzionato benissimo, specie nel secondo tempo (nel primo molto meno), quando la Juve ha chiuso i francesi in trenta metri di campo, concedendo appena un paio di contropiede pericolosi. “La Juve” ha detto Bruno Genesio, tecnico del Lille, “ci ha presentato molti problemi, soprattutto nell’aggressione e nella riagressione. Inoltre sono molto bravi ad allargare il gioco e sulla fasce hanno giocatori incisivi”. La descrizione, nella sua essenzialità, piacerà a Thiago Motta: è proprio questa la squadra che vuole presentare, aggressiva e percutante, come dicono i francesi.

Juve, troppi attacchi per vie centrali

Per ora, però, l’unico elemento statistico che segnala il cambiamento è il possesso palla. Sugli altri dati offensivi la Juve è ancora indietro e questo spiega come mai il controllo non s’abbini del tutto all’efficacia. Per tiri in porta (solamente 3,8 a partita) i bianconeri sono appena venticinquesimi su trentasei e per tiri totali non vanno molto meglio (ventiduesimi con 12,3). Anche a Lille la tendenza s’è confermata: alla fine Di Gregorio e Chevalier hanno dovuto fare lo stesso numero di parate, tre. La Juve, in particolare, attacca troppo poco per vie centrali: guardando la heatmap delle sue partite (cioè la visualizzazione grafica attraverso i colori delle zone di campo più battute), si vede che la sua azione offensiva è una sorta di ferro di cavallo rosso che racchiude uno spazio quasi del tutto bianco. Significa che gli juventini muovono la palla ai lati dell’area e a ridosso del centrocampo, ma calpestano molto poco le zolle dei 20-25 metri di terreno in faccia al portiere altrui. È questo che spiega la sproporzione tra controllo ed efficacia, che per altro si sta notando anche in campionato.

Gli esami con Aston Villa e City

Un ulteriore riscontro lo avremo nei prossimi due turni: finora la Juve ha incrociato avversari né sicuramente più forti né sicuramente più deboli, e a formazioni del proprio livello è più facile imporre il gioco. Sarà interessante capire se riuscirà a farlo anche in casa dell’Aston Villa, tra tre settimane, o l’11 dicembre allo Stadium contro il City. “Sono soddisfatto di cosa stiamo facendo in questa Champions”, dice Thiago Motta. Come dargli torto.

Le differenze rispetto al passato

Il possesso di palla, si diceva, non è in ogni caso un valore assoluto. Nella competizione in corso (le statistiche sono aggiornate al primo giorno di gara del quarto turno), in testa a questa classifica ci sono Manchester City (72%), Bayern (66,7) e Psg (63,1), ovvero tre favorite per il successo finale che hanno però finora raccolto risultati nettamente al di sotto delle aspettative: molto controllo e poca efficacia. Ma poi viene il sorprendente Monaco (60,4), efficacissimo nell’esercitare il controllo. La Juve è decima. Che le differenze rispetto al passato siano molte, è comunque evidente: nel 22/23, ultima Champions giocata, la Juve che uscì già ai gironi ebbe soltanto il 47,8% (ma l’Inter finalista il 45: efficacia senza bisogno del controllo).

Il valore della rosa

Una condanna della mentalità di Allegri? Solo in parte, casomai la condanna della mediocrità delle rose costruite negli ultimi anni del regno di Andrea Agnelli. Quando invece la Juve era molto forte, anche in Europa sapeva essere una squadra dominante: nel 14/15, la stagione della finale di Berlino, ebbe il 54,1% e nel 16/17 (finale di Cardiff) il 54, in entrambi i casi il sesto possesso in assoluto. Con i giocatori buoni, anche Allegri sapeva controllare le partite. Senza, si arrangiava.

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