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Thiago Motta, un despota illuminato che servirebbe alla cosa pubblica

La rubrica “È sempre domenica”. Dovunque sia andato, il tecnico della Juventus non ha mai dato certezze a nessuno impostando il principio della meritocrazia

Se Thiago Motta non esistesse, in Italia non verrebbe mai in mente di inventarlo. Eppure piace. Tanto. Il suo metodo, dopo una sola giornata di campionato e una vittoria sul Como, ha già fatto conquiste. È un’idea, un sistema, addirittura una forma di governo, che qualcuno ha battezzato “thiagocrazia”. Dallo Spezia alla Juventus, passando trionfalmente per Bologna, Motta abolisce le gerarchie (nemmeno il capitano è più sicuro del posto, figurarsi dei gradi). Abbatte i totem (da Nzola a Chiesa passando per Arnautovic). Cancella le rendite di posizione (Douglas Luiz può essere stato strapagato, ma se si allena meglio di lui gioca Mbangula). Sposta le pedine (Kiwior davanti alla difesa, Posch di lato, Danilo in panca).

Thiago Motta despota illuminato

Fa vacillare le certezze (di solito ne restano tre, una per reparto e neanche sempre). Resta lui: un po’ stranino (copyright Saputo) e un po’ tirannino. Quel tipo di despota illuminato che manda avanti la storia, però. Che pensa di aver sempre ragione e che anche per gli altri ha sempre ragione, almeno finché vince. Ora, prendiamo tutti questi entusiasmi e trasferiamoli nella gestione della cosa pubblica nostrana. Immaginiamo l’amministratore delegato di una società controllata dallo Stato che arriva e azzera i curriculum, trasferisce al piano di sopra chi stava di sotto, sposta le scrivanie, licenzia un caporione. Pensiamo al sindaco di una grande città (magari la capitale) che riforma i vertici delle aziende municipalizzate, cambia gli orari di lavoro, accompagna all’uscita i nominati per favore di casta o di stirpe. Che spettacolo, ma quanto durerebbero?

Quel tipo di lavoro che ha bisogno di congiunture

Un metodo del genere (al di là del sistema di gioco) ha bisogno di particolari congiunture. Deve venire dopo una profonda crisi, avere un mandato forte e duraturo, trovare un ambiente disperato ma serio. Poiché le forme di governo, come gli schemi in campo, non possono più essere vere novità, ma soltanto riproposizioni aggiornate, va detto che un simil Thiago c’era già stato e c’è ancora, ma altrove (e non per caso entrambi han detto no a De Laurentiis). Si chiama Luis Enrique. Arrivato a Roma provò a fare qualcosa di simile, diede una scrollatina al Tottem, modificò qualche schema o abitudine, perse partite preliminari e ad agosto già chiedevano la sua testa. A Barcellona gli è andata meglio. A Parigi anche, ma negli ultimi tempi sta sfidando la sorte, come se non fosse stato un Luigi l’ultimo sovrano assoluto. Chissà chi crede di essere, forse Thiago Motta: l’uomo che un giorno (se l’è scritto da sé nell’oroscopo) prenderà il suo posto.

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