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Totò Schillaci è morto, addio all’eroe di Italia 90

Aveva 59 anni, salì alla ribalta ai Mondiali italiani quando da riserva di Vialli e Carnevale si prese la maglia da titolare segnando 6 gol e conquistando il titolo di capocannoniere

Era tutt’occhi. E quanta tenerezza in quella ferocia, quanta sapienza del corpo, degli istinti, nella tumultuosa esistenza in quell’apparente semplicità di schema. Salvatore Schillaci era nato povero e non ha mai fatto pazzie per abbandonare una marginalità che pure, a un certo punto della storia, lo aveva condotto al centro del mondo. Forse nessun italiano era più famoso di lui nel 1990. La sua vita basica, elementare, lo espose al razzismo da stadio più bieco, al sarcasmo di chi al prossimo può perdonare tutto, la cattiveria, l’ingordigia, l’immoralità, non l’incultura. I tifosi sanno essere crudeli come i bambini quando intercettano, in mezzo a loro, il più debole del branco.

Capocannoniere e Scarpa d’Oro

Totò Schillaci guardò sé stesso con quei famosi occhioni spiritati e sgomenti, e forse fu il primo tra gli increduli. Era tutto troppo, e probabilmente il ragazzo lo sapeva. In gol in sei partite su sette del Mondiale italiano iniziato come riserva di Vialli e Carnevale, poi titolare di possesso assoluto: 6 reti, alla fine, capocannoniere e Scarpa d’Oro, e secondo nel Pallone d’Oro dietro al tedesco Matthäus. Una vita tutta chiusa in quella gloriosa stagione estiva e azzurra. Prima, il lungo viaggio da Palermo e dal Messina. Dopo, appena 22 gol in quattro stagioni, un paio alla Juventus e un altro paio all’Inter. Da non crederci. E infatti Totò spalancò ben bene le pupille per essere sicuro che lì dentro, in quel tornado, ci fosse proprio lui.

La scuola calcio per i ragazzini di Palermo

Schillaci muore a 59 anni anni, un anno dopo Vialli, quattro dopo Paolo Rossi. Quattro anni, nel calcio, non sono una cadenza normale ma lo spazio tra un Mondiale e l’altro, tra un Europeo e l’altro. Il simbolismo ha sempre qualcosa di sinistro, come tutte queste morti per cancro, leucemia o Sla tra i calciatori di quell’epoca. Totò Schillaci ha covato in silenzio il proprio dolore, ormai quasi scomparso dagli orizzonti dopo qualche comparsata televisiva nei reality, ma sempre con il pallone al primo posto nel cuore: per questo motivo aprì una scuola calcio per i ragazzini di Palermo, e per questo faceva giocare i migranti, i più periferici tra i giovani in difficoltà.

Quando ad un avversario disse “ti faccio sparare”

Totò seppe del cancro due anni e mezzo fa, e due furono pure gli interventi chirurgici, molto invasivi. Ormai era un uomo con la barba ingrigita e un buffo berretto di lana, ancora timoroso di sbagliare parola come quando in tanti lo prendevano in giro per le frasi nelle interviste. Non si vantava di non essere andato a scuola, “sono palermitano ma non malavitoso, anche se il calcio mi ha salvato la vita”. Contro di lui si sentirono le peggiori cose, i cori più spietati, quel razzismo neanche troppo sottopelle che ancora intride molta parte del tessuto sociale italiano. E lui zitto, fino a quando non scoppiava. Così, una volta, disse “ti faccio sparare” a un avversario che gli aveva sputato addosso. E un’altra volta mollò un cazzotto in faccia a Roberto Baggio, che nello spogliatoio juventino aveva tirato troppo per le lunghe una battuta.

Faceva gol in ogni modo

Aveva sempre un’espressione seria, ingrugnita e un po’ triste, come accade a chi vorrebbe essere da un’altra parte. Totò Schillaci è stato un centravanti brevilineo alla sudamericana, uno di quei tipi spietati e fatti di gomma, impossibili da abbattere, rimbalzanti. Faceva gol in ogni modo, anche di sponda e per caso, finché non smise. Lo avevano allevato due grandi allenatori irregolari, Franco Scoglio e Zeman, capaci di non levargli di dosso la cazzimma. Schillaci non si poteva addestrare: occorreva fidarsi del suo radar.

Il ritiro dopo l’esperienza in Giappone

Non ha avuto un destino facile. Soffrì molto quando venne fuori la storia tra la moglie (ma erano già separati in casa) e il calciatore Lentini. La Juve prese malissimo il divorzio, Boniperti provò in ogni modo a evitarlo, poi cedette il suo centravanti che stava diventando un po’ scomodo per l’immagine e per certe ipocrisie sabaude, e soprattutto segnava ormai troppo poco. Si ritirò nel 1999, dopo essere stato il primo calciatore italiano ad emigrare in Giappone, “Totò San”, popolarissimo, una specie di manga incarnato.

Nella clinica dove arrestarono Mattia Messina Denaro

Quando gli saltava, andava a giocare qualche partita in Eccellenza o in Terza Categoria, fino a quando ha pensato solo ai suoi ragazzi della scuola calcio, con una bizzarra deviazione di percorso in consiglio comunale a Palermo, un paio d’anni con Forza Italia, prima di capire che non era cosa. Il giorno in cui arrestarono Matteo Messina Denaro nella clinica “La Maddalena” a Palermo, il 16 gennaio 2023, Schillaci era lì a farsi la chemio, si vide circondato, pensò a un attentato. Ancora una volta era capitato nel cuore di una cosa molto più grande di lui. Ma forse è venuto il momento, dicendogli addio, di chiedergli scusa per non averlo capito, per essere stati superficiali con lui, abbagliati da uno sguardo.

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