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Tripoli è in Italia: tra ritardi e capricci lo scudetto della Libia viaggia tra Avellino, L’Aquila e Teramo

Grazie ad un potente sponsor petrolifero il torneo emigra. Sei squadre e porte chiuse, si parte oggi dopo un lungo valzer di sedi rifiutate per i motivi più vari

La finale del campionato libico in Italia tra resort cinque stelle e richieste irrealizzabili. Tutto frutto degli accordi siglati a maggio dal governo italiano a Tripoli nell’ambito del Piano Mattei, il progetto strategico per rilanciare il ruolo dell’Italia in Africa. Legittimo chiedersi perché la premier Giorgia Meloni strizzi l’occhio al calcio libico. In questi giorni infatti il nostro Paese ospita (a porte chiuse) le final six della Prima Lega, la massima serie del loro campionato. O meglio, dovrebbe ospitare. Perché il torneo doveva partire il 24 giugno, anzi il 1 luglio. No, forse il 4 luglio. Ehm, il 6 (oggi) va bene a tutti? Neanche fosse la chat per organizzare il calcetto o la rimpatriata con gli amici del liceo. Insomma, fischio d’inizio rimandato. Non perché non si trovi il fischietto, anzi. A dirigere le gare saranno arbitri libici e italiani. Di primo livello, tra l’altro, come Simone Sozza. Tutto sotto il coordinamento del designatore Gianluca Rocchi. Anche se la federazione di Tripoli preferiva quelli francesi.

Il valzer dei rifiuti da parte dei libici

E se pensate che i reclami finiscano qui, siete fuori strada. Perché Abdul Hakim Al-Shalmani, il numero uno del calcio libico, è un ospite davvero difficile da accontentare. Il governo gli aveva promesso la Toscana e le sue strutture all’avanguardia, tra Pisa, Montecatini Terme e Campi Bisenzio. In ballo c’erano pure l’Artemio Franchi di Firenze e il Carlo Castellani di Empoli. Grandi palcoscenici, soprattutto per il calcio libico, che in un valzer di silenzi e ritrattazioni, lascia intendere che no, non vanno bene. Ecco allora il Viola Park della Fiorentina, il centro sportivo da 100 milioni di euro inaugurato meno di un anno fa. Ma niente da fare: non piacciono la logistica e la distanza dagli stadi. E neanche gli alberghi, tutti quattro e cinque stelle, che avevano pure fatto scorta di cibo halal. Poi viene meno l’accordo sul prezzo: i libici vogliono il top senza spendere al top. Sembra di stare in una puntata di 4 Hotel, con Bruno Barbieri che fa la parte del cliente dispettoso.

Il litorale laziale? L’erba non va e manca il Var

Vada allora per la seconda opzione: soggiorno a Roma. A disposizione i campi di Ladispoli, Cerveteri e Santa Marinella. Ma qualcosa va storto, ancora. E la federcalcio libica rispedisce l’offerta al mittente. Sul tavolo delle trattative alzano la posta in gioco, dal manto erboso al Var: i libici pretendono l’erba sintetica e la tecnologia in campo. Alla fine la scelta ricade su Abruzzo e Campania. Gli stadi? Il Partenio Lombardi di Avellino, il Gran Sasso d’Italia a L’Aquila e il Gaetano Bonolis di Teramo, che dal 6 al 22 luglio ospiteranno le gare del girone all’italiana che incoronerà la regina del campionato libico. In gara sei squadre, dall’Al-Hilal all’Al-Nasr, che però nulla hanno a che vedere con le omonime saudite rese celebri da Neymar e Cristiano Ronaldo. E i costi? Un investimento da circa 1,5 milioni di euro a carico dello sponsor Tamoil. L’azienda petrolifera appartiene al gruppo olandese Oilinvest, a sua volta posseduto dalla Libyan investment authority, fondo sovrano gestito da Tripoli. All’organizzazione ci ha pensato la stessa federazione libica tramite un’agenzia svizzera.

All’Italia non costa un euro

Il governo italiano invece non ha sborsato un centesimo. Ha semplicemente fornito supporto tecnico alla realizzazione dell’evento, accordandosi con Federalberghi e Figc per la ricerca di strutture, impianti e arbitri. Un’impresa non da poco: rimediare oltre 400 posti letto nella stagione estiva, in tempi strettissimi. Il protocollo d’intesa col governo libico risale infatti allo scorso 7 maggio. Presente allora a Tripoli, insieme alla premier Giorgia Meloni, anche il ministro dello Sport Andrea Abodi. Oltre alle final six, l’accordo prevede una cooperazione sulle infrastrutture e l’avvio di stage per tecnici e atleti libici in Italia e viceversa. Insomma, tutto fa brodo per il Piano Mattei. Un tassello di soft power per rafforzare la collaborazione col premier libico Dabaiba, che svolge un ruolo cruciale nel controllo dei flussi migratori, obiettivo strutturale del governo Meloni. Anche perché la Libia – dati Unhcr – a giugno figura come primo paese in termini di partenze. E così Saadi Gheddafi, figlio del leader Muammar, non sarà l’unico libico degno di nota ad aver giocato in Italia.

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