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Tudor: “Vlahovic e Kolo Muani possono giocare insieme nella mia Juventus, voglio restare dieci anni”

La presentazione del nuovo tecnico bianconero. Il ds Giuntoli: “Con Thiago Motta ho un rapporto di stima e rispetto ma serviva una sterzata”

TORINO – Taglia corto su Thiago Motta, perché “non sarebbe educato parlare del passato”. Però il manifesto di Igor Tudor è in discontinuità con la linea del suo predecessore: “Cercherò di mettere i giocatori nella posizione in cui si sentono maggiormente a loro agio”. Ha fatto capire che serve molto lavoro psicologico, oltre che tattico, e che il suo leader sarà Vlahovic. Presentandolo, il dt Cristiano Giuntoli ha spiegato di aver scelto Tudor “non solo per il passato juventino, ma soprattutto per le qualità tecniche, umane e morali. Rimarrà con noi fino al Mondiale e poi ci siederemo attorno a tavolo: la speranza è di continuare assieme. Siamo veramente molto fiduciosi per il futuro”. E su Thiago Motta: “Con lui il rapporto è e rimarrà di stima reciproca, resto convinto che diventerà allenatore di grande livello”.

Tudor, la emoziona il suo ritorno alla Juventus?

“L’emozione c’è, perché tutti vorrebbero allenare questo club, ma c’è soprattutto voglia di lavorare. Credo tanto in questa squadra, ci sono giocatori forti ma anche delle difficoltà. Però non ci sono scuse, io non ne ho mai cercate. Io cerco le sfide, cerco responsabilità. Ecco, partiamo così. Ho trovato una rosa forte e giovane, è bello e stimolante quando c’è gioventù”.

Ripartirà da Vlahovic?

“Si tratta di un giocatore fortissimo che sono felice di allenare. È vero, qualche anno fa dissi che per me era il miglior attaccante della seria A, ma le mie non sono parole, sono fatti. Dusan ha le doti di un giocatore di prima classe, è intelligente, è un trascinatore anche se adesso è in momento un po’ così, ne abbiamo parlato. Lui e Kolo Muani possono giocare insieme, oppure uno avanti e uno dietro, oppure uno spezzone di gara”.

Che atmosfera ha trovato nello spogliatoio?

“Ho visto ragazzi dispiaciuti, sanno che se è stato necessario cambiare allenatore è anche responsabilità loro. Ma allo stesso momento li ho visti vogliosi e motivati”.

Come pensa di rilanciare Koopmeiners e Yildiz?

“Hanno caratteristiche rare, devono e possono fare gol, sono quelli che fanno la differenza. Proverò a trovare le posizioni giuste per loro, è il mio obiettivo. Si devono sentire a loro agio giocando dove possono fare di più. Ma quando un giocatore è forte è facile trovargli un ruolo”.

Come soprannome le va bene Mister Wolf, quello che risolve i problemi?

“Mi considero un allenatore. Ho vissuto tante esperienze, ho girato molto, posso sembrare un po’ particolare perché faccio scelte con il cuore e se sento che non è il posto giusto per me, vado a casa. Si vive il presente. Avere 10 anni di contratto a me cambia poco anche se lo vorrei. Ma anche se non è così, io lavoro uguale”.

Ha individuato un possibile nuovo leader e il capitano?

“Qualcuno l’ho conosciuto solo ieri, come faccio a dirvi. Le responsabilità devono prendersele tutti, si tratta di costruire un gruppo. Il capitano sarà Locatelli. È vero che queste generazioni giovani sono diverse, la cultura è diversa. E un tempo c’era tanta più personalità, secondo me. Però va anche detto che qui si è presa la strada del cambiamento e quando si cambia tanto il percorso di crescita è più lento. Però alla Juve non frega a nessuno se sei giovane o vecchio, devi vincere e basta”.

Cosa ha imparato nelle sue vite alla Juve?

“La Juve ha sempre fatto le cose giuste perché ha sempre scelto le persone giuste. E poi c’è quella cultura del lavoro che ho assimilato stando qui, l’umiltà che ho imparato da Del Piero e Zidane. Ricordo che magari il mercoledì si giocava in Champions e la domenica in casa contro una piccola, ma già nel riscaldamento vedevi che la voglia era uguale, se non di più. Questa è la Juve. Voglio trasmettere questi valori ai giocatori, come ho fatto in tutte le squadre dove ho allenato. Vi racconto due aneddoti”.

Prego. Il primo?

“Avevo vent’anni, ero appena arrivato e aspettavo di poter salire sul lettino dei massaggi. Quando viene il mio turno vedo che arriva Zidane, e allora gli lascio il posto, ma lui mi risponde così: tocca a te, io vengo dopo”.

Il secondo?

“Una volta mi tolgo i calzini, li appallottolo e li butto a terra, ma Del Piero mi dice si raccoglierli e metterli al loro posto: il lavoro che dovresti fai tu lo deve poi fare Romeo (il magazziniere dell’epoca, ndr) e non sarebbe giusto”.

Lavorerà più sulla tattica o sulla psicologia?

“Dovrò lavorare su tutto, dare spensieratezza e allo stesso tempo cattiveria mentale. Le cose tattiche non devono essere tante ma devono essere quelle giuste. Nella mia carriera ho fatto la difesa a tre e a quattro, il pressing a uomo e il pressing a zona, non è quello che fa la differenza: la fanno lo spirito, la voglia di sacrificio e lo stile di gioco, che è una è una cosa diversa dal sistema. Spero di fare vedere già qualcosa contro il Genoa, ma lo spirito, quello che viene da testa e cuore, non deve mancare. Per il resto, ci vorranno due o tre settimane”.

Conferma di amare il calcio d’attacco?

“Voglio gente che si diverta, la mia idea è di fare sempre una rete in più, mi piace attaccare in tanti ma anche non prendere gol, perché è bello andare avanti, ma poi gli altri ti fregano in contropiede. Ma voglio un bel gioco: il mondo è sempre più esigente, per cui il calcio deve essere sempre più interessante agli occhi della gente”.

Cosa pensa di Thuram?

“Ieri ho sentito suo papà, mi ha detto di dargli uno schiaffo se fa qualcosa di sbagliato”.

Ha parlato ai giocatori del Dna juventino?

“Non si vince con il cuore e il senso di appartenenza, se no basterebbe far giocare i tifosi. Il giocatore capisce in fretta come sei fatto, quindi ti toglie e dà credibilità in poco tempo. Se gli parli soltanto del dna della Juve, non lo convinci”.

Quanto la sua carriera è condizionata dal passato juventino?

“Non ho avuto allenatori così scarsi, in effetti: Lippi, Ancelotti, Capello. Quando penso a Lippi penso alla Juventus, al suo modo di allenare, di comunicare, di gestire lo spogliatoio. Gli voglio bene”.

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