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Un derby con la fifa del Diavolo: Inter-Milan decisiva per Fonseca

Il tecnico portoghese sfida Inzaghi mentre il club da giorni cerca già un altro allenatore

MILANO — Stasera a San Siro la grande paura del Milan è perdere il derby per la settima volta consecutiva dalla Supercoppa d’Arabia del gennaio 2023. L’Inter di Simone Inzaghi (“il passato non conta, la partita è complicata”) nel frattempo si è presa la seconda stella. Al Portello la dirigenza è in difficoltà, ma Paulo Fonseca è il capro espiatorio perfetto. Quando nel 2017 allo Shakhtar si presentò travestito da Zorro dopo la qualificazione agli ottavi di Champions, era in piena ascesa. Oggi, a 51 anni e con la panchina del Milan che rischia di scivolargli via se perderà (e chissà se un pari gli basterà), le maschere le ha buttate tutte via: “Non dico mai bugie. Io non so lasciare l’iniziativa all’avversario. Vado avanti così, le voci non le ascolto”. Solo che il club non ha fatto molto per spegnere quelle sul casting in corso per il suo successore, con l’ad Furlani e il dt Moncada apparentemente favorevoli a Sarri (corteggiato pure dal West Ham, dove vacilla il milanista mancato Lopetegui), mentre Ibrahimovic, consulente dell’azionista di controllo Cardinale, è alla prova di forza per dimostrare di essere lui “il boss” e propende di più per Tudor o Terzic.

Milan, i 6 derby persi di seguito

Il Milan, che teme di vedere già scappare le aspiranti allo scudetto e ha debuttato male col Liverpool in Champions, trova i tifosi sul piede della contestazione: gli obiettivi della filosofia all’americana — posto in Champions e conti a posto, il resto è secondario — non li scaldano affatto. Così, in mezzo alla debole teoria della gestione collegiale tra i dirigenti e al conseguente assioma sulle decisioni assunte da tutti o da nessuno (a cominciare dall’ingaggio di Fonseca), affiora la suddetta grande paura che la partita con l’Inter (14-2 il conteggio umiliante dei 6 derby persi di seguito) si trasformi in patibolo.

Il sincronismo del trio dell’Inter

Le premesse tattiche sono le peggiori. A differenza del consolidato 3-5-2 di Inzaghi, reduce dalla convincente trasferta di Manchester e con Lautaro da coccolare per il digiuno dal gol (“Se sta bene, parte dall’inizio”), la squadra di Fonseca è un cantiere a centrocampo. Si profila il 4-4-2 senza Loftus-Cheek, con la mediana Fofana-Reijnders, Pulisic-Leao esterni, Morata-Abraham coppia d’attacco, Pavlovic in bilico in difesa e Gabbia unico italiano superstite (Calabria è acciaccato). Ogni mossa mirerà a colmare il divario emerso nel ciclo di Pioli, rispetto ai sincronismi del trio Barella-Çalhanoglu-Mkhitaryan, che i sei derby vinti li hanno vissuti tutti da protagonisti. Fonseca deve confidare nelle invenzioni di Leao e Theo Hernandez, i due ribelli dell’Olimpico. I sussurri di mercato mettono intanto ulteriore carico alle critiche: starebbe per scattare il rinnovo automatico del contratto di Jovic, escluso dalla rosa di Champions. E nell’Empoli sta parando assai bene Devis Vasquez, già terzo portiere a Milanello, scovato dalla precedente dirigenza e prestato da questa con diritto di riscatto a un solo milione di euro.

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