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Var a chiamata in serie C: come funziona e a cosa serve

Il designatore Rocchi ha annunciato ieri la sperimentazione in Lega Pro e nella serie A femminile

Il Var per tutti si chiamerà “Football Video Support”, o più semplicemente Var a chiamata. La grande novità del mondo del calcio è pronta a stravolgere la Lega Pro e la serie A femminile, i campionati di riferimento in cui sarà introdotta in questa stagione. Al momento non è previsto un allargato anche nelle categorie superiori, ma cambierà la Serie C dando la possibilità anche alle partite che si disputano in campi con scarsa copertura televisiva di avere uno strumento contro gli errori arbitrali. L’annuncio fatto dal designatore Rocchi promette di cambiare il calcio: tecnologie simili sono attualmente utilizzate nel tennis, nel football americano, nel basket con risultati ottimi e polemiche ridotte.

Due chiamate a partita

La rivoluzione è servita. Ogni squadra di Lega Pro avrà a disposizione due chiamate per il Var, che non sarà gestito come avviene attualmente nelle categorie superiori, ma sarà un’arma a disposizione degli allenatori. Due “challenge” a partita, a cui aggiungerne un altro per i tempi supplementari, ma soprattutto la necessità di decidere con attenzione quando utilizzarlo: il quarto uomo segnalerà la richiesta all’arbitro, che controllerà al monitor l’azione. Se l’arbitro cambierà la decisione, la squadra mantiene la chiamata, mentre in caso contrario la perderebbe. Ben definito anche il raggio d’azione, visto che potrà intervenire esclusivamente in situazioni di “gol-non gol”, rigore, cartellino rosso diretto e errore di identità.

Cos’è il club referee manager

Più che un altro aspetto da tenere sotto controllo da parte dell’allenatore, il Var a chiamata sarà un’opportunità per far nascere, formare e sviluppare una figura tutta nuova, il club referee manager. Sarà una componente fondamentale dello staff tecnico e dirigenziale di una squadra, che potrebbe essere un ex arbitro ma anche semplicemente un professionista formato che conosce il regolamento, il protocollo Var. Con caratteristiche ben definite: freddezza per prendere decisioni quando l’adrenalina degli staff tecnici è al massimo, la capacità di interpretare al meglio le situazioni di gioco oltre a una profonda conoscenza dei propri calciatori. Dalle sue decisioni dipenderà l’esito di una partita: una domenica potrebbe essere il protagonista della vittoria, un’altra il parafulmine per eventuali errori arbitrali non segnalati.

Var a chiamata, un’evoluzione culturale

In definitiva, il Var a chiamata rappresenta un allargamento del supporto video anche a categorie come la Lega Pro e la serie A Femminile, che spesso si giocano in impianti con solo tre telecamere: in Serie C si parla di 27 partite su 30. Il primo aspetto sono i costi di gestione, visto che il Football Video Support richiede meno personale e attrezzature all’avanguardia rispetto al Var tradizionale e al Var Light, sistema che non ha avuto molto successo a causa dei costi leggermente inferiori al Var. Con conseguente abbattimento dei costi e la possibilità di allargare l’assistente video anche alle categorie inferiori, dove il giro d’affari è ridotto. Inoltre rappresenterà una vera e propria svolta culturale, ponendo i calciatori di fronte a un bivio: accentuare o peggio ancora simulare, traendo in inganno il proprio club referee manager e a cascata la propria squadra, o dedicare ai contatti veri e certificati le proteste? Siamo probabilmente di fronte a una svolta epocale, almeno per le categorie coinvolte. Lo spazio per le polemiche ci sarà sempre, ma se dovesse prendere piede il Fvs, in futuro saranno ridotte all’osso.

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