Cremona – Luca, titolare della Tramezzeria 25 Aprile, è partito dal salmone affumicato, il più britannico fra gli ingredienti che aveva in negozio. Ci ha aggiunto le uova «perché in Inghilterra le mangiano a colazione» e l’avocado, «che ci sta bene». Ed ecco servito il tramezzino Jamie Vardy, venduto a 5 euro, pubblicizzato da una locandina sulla porta. «A Cremona eravamo abituati a chiedere autografi per strada a Daniel Ciofani. Bella punta, per carità, ma qui siamo su un altro livello. Questo è un campione», dice Marco, operaio agricolo nel settore delle biomasse, stretto nella maglia di Charles Pickel, congolese idolo della curva, passato all’Espanyol. In mano ha un santino di Jamie, l’uomo che ha portato in paradiso la classe operaia del calcio vincendo la Premier League con il Leicester, ma che come i personaggi di Ken Loach non si scrolla di dosso lo spirito di rivalsa: «In molti mi hanno sottovalutato, ma ho dimostrato che sbagliavano. La Cremonese è come me. Nessuno crede che possa salvarsi, e per questo sono qui», ha detto serio nella meravigliosa sala del Museo del Violino, restaurato dalla famiglia Arvedi, proprietaria del club grigiorosso.
Arriva Stradivardy
Una presentazione antica, da fiera di provincia, in cui si mettono in mostra i portenti del mondo. «Se un mese fa qualcuno mi avesse detto che avremmo presentato Vardy, lo avrei preso per matto», ha detto il direttore sportivo Simone Giacchetta seduto di fianco a “Stradivardy”, come l’hanno ribattezzato in questa terra di liutai, dove primo violino è stato “Stradivialli”, il ragazzo del posto che è arrivato lontano.
Ex metalmeccanico, ha giocato col braccialetto elettronico
Il suo ideale successore è nato a Sheffield e ha raggiunto il professionismo a 25 anni, dopo una vita fra mestieri vari, compreso l’operaio metalmeccanico, e tanto calcio minore, giocato anche con il braccialetto elettronico, dopo la condanna del 2007 per una rissa fuori da un pub.
Obiettivo salvezza
A portarlo nella bassa lombarda sono state tante cose, ma soprattutto sessanta minuti di videochiamata con Davide Nicola, che gli ha spiegato perché lui fosse fatto per la Cremonese e viceversa. «L’obiettivo è la salvezza, ma la storia del Leicester insegna che nel calcio può succedere di tutto», dice Jamie, con la faccia scolpita nella ghisa e gli occhi di chi ha superato i propri sogni. La vittoria contro il Milan a San Siro l’ha guardata dal divano, poi ha fatto i complimenti al bomber per caso Baschirotto e al rovesciatore Bonazzoli. Non c’era nemmeno in casa contro il Sassuolo. Potrebbe esordire lunedì a Verona, ma chissà. Di certo, in centro a Cremona le sue maglie sono esaurite, come gli abbonamenti allo stadio, che hanno superato quota ottomila.
Già idolo in città
Ma in città Vardy è dappertutto: nei discorsi ai tavoli dei ristoranti sotto al Torrazzo e nelle cascine appena fuori, nelle scuole, dove i ragazzini non vedono l’ora di impazzire per i suoi gol. E non solo loro. «Ascolta me, io Vardy l’ho studiato. Non gli è andata giù la retrocessione col Leicester due anni fa, è qui per vendicarsi», dice un signore con i baffi bianchi ingialliti dal tabacco, seduto su una panchina dei giardini Papa Giovanni Paolo II, che sono in centro, ma distano mezzo chilometro dai campi coltivati, come tutto a Cremona, che ha poco più di un terzo degli abitanti della ricchissima Brescia. La rivale irraggiungibile dista cinquanta chilometri. Ora, grazie a Jamie Vardy, attraverso gli occhiali del calcio, sembra piccola piccola, là in fondo. «Siamo così felici, che quasi ci dispiace per i bresciani. Per i piacentini no, sarebbe troppo», sintetizza l’anziano ai giardinetti.