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Vittorio Veltroni, candidato alla presidenza della Serie B: “Playoff modello Nba e una supercoppa europea di categoria. Ma va cambiato il rapporto con le tv”

Le proposte del manager, in corsa per la poltrona di numero uno della seconda serie italiana

Vittorio Veltroni è un manager con ampia esperienza nello sviluppo tecnologico e nell’universo delle Telco e da anni lavora nell’ambito dell’executive search in Heidrick&Struggles. Il 12 settembre sarà tra i tre candidati alla presidenza della Serie B insieme al presidente uscente Mauro balata e a Beppe Dossena.

Veltoni, come mai a questo punto della sua carriera ha pensato di candidarsi a presidente della Serie B?

“Se mi chiedete perché sono candidato è perché penso che ci siano i germi di un futuro possibile. Però bisogna avere il coraggio e avere l’ottimismo per andarselo a prendere. Se cerchi solo di gestire il potere in continuità perché sei convinto che quello che verrà è solo una costante e continua consunzione, sei condannato alla costante e continua consunzione. Se invece hai il coraggio di vedere un futuro migliore allora puoi fare delle cose per farle accadere. Il calcio ha delle opportunità di crescita e di successo, ma se nessuno si muove queste opportunità spariscono”.

Parliamo di temi concreti. Una proposta nel suo programma?

“La mia prima proposta per esempio è di creare al posto dei play off della serie B è un processo simile ti ricordi al Bubble tournament della Nba. Ossia un torneo organizzato in una sola location, con un villaggio all’interno di una città: crei una settimana di evento. Ne ho già parlato informalmente con i broadcaster e sarebbe una roba enorme, un valore per tutti. È un tentativo, lo provi e se funziona poi magari fai così anche la Coppa Italia”.

Un’idea esportabile, tra l’altro.

“A livello internazionale si potrebbe accarezzare l’idea di un torneo fra le tre migliori squadre della serie B francese della serie B spagnola, della serie B italiana e magari tedesca: un torneo da fare quando gli altri non giocano. Per uno spettacolo di questo tipo i soldi di private equity ci sono. Sarebbe una specie di Supercoppa di B europea. Una manifestazione del genere la fai itinerante, a Roma o a Milano, diventano un modo di tenere impegnate le infrastrutture altri 10 giorni. Ci vuole il coraggio di provare cose nuove. C’è tantissimo spazio per creare opportunità di crescita”.

Perché allora proprio la serie B?

“Perché paradossalmente la serie B in questo momento ha una peculiarità: mentre nelle altre leghe all’estero, soprattutto in Francia e Spagna, la seconda serie è già dentro la loro serie A, e quindi fa sistema, in Italia è sempre da sola. Ha l’opportunità, in questo momento, di essere un laboratorio per un nuovo modo di interpretare la relazione col resto dell’ecosistema calcio. Per segnare un cambio di passo. Ad esempio lavorando fianco a fianco con i licenziatari dei nostri diritti tv per costruire un database del rapporto con i tifosi. È un movimento che ha bisogno di idee, che ha bisogno di cambiare”.

Ha parlato dei diritti tv: in estate è stato uno degli elementi che più hanno caratterizzato la discussione sulla serie B: l’accordo con Dazn è stato chiuso a cifre decisamente inferiori rispetto all’ultimo triennio e dopo settimane in cui si temeva di non arrivare neanche a un accordo.

“C’è un tema generale: noi dobbiamo smettere come movimento calcio di vedere i licenziatari dei diritti tv come mucche da mungere e cominciare a vederli come partner per costruire valore. Altrimenti questo è un gioco che finirà male. A ogni giro investono 8una montagna di soldi e li costringi a lavorare in perdita: che il prodotto calcio sia in sofferenza lo stiamo vedendo. È troppo discontinuo fra Dazn e Sky. Più in generale, c’è tanto lavoro da fare sul prodotto, che alla fine è l’unica cosa che ti deve portare clienti. Bisogna lavorare con i licenziatari per fare un prodotto migliore e portare valore a tutto il movimento. Capire come massimizzare il valore attuale e come massimizzare il valore futuro: perché molto spesso le due cose non sono identiche”.

Proviamo a essere più specifici.

“Una strategia che dice: nel corso di tre anni io faccio crescere il valore del mio prodotto, può voler dire che il primo anno investo di più sulla qualità sul servizio e magari guadagno anche qualche cosa di meno. Ma questo è un discorso che si può fare se tu fossi un partner dei tuoi licenziatari. Oggi invece con chi investe nel calcio non c’è un rapporto di sinergia”.

In questo senso la posizione conflittuale con la Federcalcio come la valuta? È un modo per avvicinarsi alla Serie A?

“La serie B e la serie A devono avere un filo diretto continuo, perché in realtà fanno parte dello stesso ecosistema e molto spesso il successo di uno dipende dal successo dell’altra. E questo tipo di dialogo e di confronto è un po’ mancato in questi anni. Le due leghe devono trovare anche fra di loro un’idea di consorzio. Dopodiché, la rappresentanza all’interno del mondo del calcio è importante quindi il rapporto con la Federcalcio deve e può migliorare, deve essere meno antagonistico, più di sistema. Il presidente di una Lega rappresenta l’interesse dei venti affiliati, quindi deve necessariamente portare sul tavolo le istanze delle squadre. Se oggi gli affiliati lamentano giustamente che c’è un punto di mutualità che non gli è stato dato da un po’ di anni, questo tema e va portato sul tavolo costruttivamente”.

Cosa ha da spendere la Serie B per far valere la propria posizione nel dialogo con la Figc?

“Quando sei in un ecosistema puoi avere tre monete da spendere: i soldi, e purtroppo in questo momento i soldi sono difficili da trovare un po per tutti. Puoi avere la forza del prodotto e come terza moneta la forza delle relazioni. Se non sei molto forte su nessuno dei tre i fronti, conti di meno”.

La Serie B non ha ancora ufficializzato le vostre candidature: perché?

“La Lega di serie B non ha risposto sul tema, no. Certamente sia io che Dossena abbiamo seguito le procedure pubblicate anche se era non erano chiarissime: io ho un dottorato e due master e diciamo che non è stato semplicissimo capire neanche per me: lo statuto è cambiato da poco, i termini per presentare le candidature erano fissati a 10 giorni di anticipo sullo svolgimento della dell’assemblea, ma l’assemblea è stata fissata in prima convocazione in un’altra data rispetto a quella in cui si svolgerà. E sorprendentemente tutto il processo elettorale è stato chiamato in 20 giorni. La sensazione è che non si cerchi un confronto sui contenuti ma si cerchi più un confronto sulla forma, ecco. Secondo me invece le squadre e il movimento della serie B hanno bisogno di un confronto sui contenuti. Poi vinceremo o perderemo, però per il momento e la caratura dei candidati – perché uno è un campione del mondo l’altro è un manager affermato il terzo è la persona che ha gestito la serie B per 7 anni ormai – si meriterebbe un bel confronto sui contenuti. Per poter illustrare i nostri piani ma soprattutto perché gli affiliati possano spiegarci dove siamo vicini dove siamo lontani alle loro istanze. Se c’è qualche priorità che viene sentita come importante”.

Che idea si è fatto del dell’ormai celeberrimo emendamento Mulé e della ridistribuzione dei pesi politici delle componenti del calcio?

“Mi pare uno strumento utile. Credo che per avere una accelerazione, per rimettere a posto il mondo del calcio, siano necessarie regole nuove ma sulla base di relazioni più trasparenti e più sottostanti ai giocatori. La serie B ha bisogno di migliorare il prodotto. E il prodotto si basa su certi indicatori: quanta gente viene allo Stato, quanta gente ti segue sui social, quanta gente si iscrive alle tue newsletter o al tuo sito. Non c’è un meccanismo né individuale né collettivo che tenga conto del miglioramento di questi indicatori rispetto alle iniziative: questa è managerialità basic e questo va importato nel calcio, a tutti i livelli. Il calcio ha bisogno di intelligenza, di esecuzione, di relazione ma il prodotto va lavorato perché sennò finisce che fra 10 anni se ci sono altri due Sinner, tutti i giovani giocheranno a tennis e il nostro movimento verrà lentamente ridimensionato. Se contrapponi il calcio ad altri sport vedi che ormai ci sono degli exploit del tennis per primo, ma anche di alcuni eventi delle Olimpiadi, che portano le stesse audience del calcio è questo in Italia diciamo dieci anni fa era più difficile”.

Come interpreta questa necessità di “intelligenza e managerialità”?

“Faccio un esempio: se io devo lavorare per costruire un bacino di tifosi iscritti e questo lo faccio attraverso un prodotto digitale e una serie di prodotti di intrattenimento digitale, il contratto che io firmo con i calciatori che acquisto deve tenerne conto. Le nostre squadre in questo momento hanno bisogno di competenza su questo, bisogna scriverli bene i contratti, bisogna scrivere in maniera che siano pronti al futuro. Una struttura contrattuale e che funzionava negli anni Ottanta oggi non può essere quella che ti fa crescere. Se fossi presidente della Lega di B il tema della contrattualistica sarebbe sicuramente uno dei temi centrali da sviluppare nel confronto col governo e soprattutto all’interno della Federcalcio”.

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