E' un Dunga a 360 gradi quello che racconta la sua carriera in Italia e il momento del Brasile a 'La Gazzetta dello Sport", partendo dalla calda ipotesi Ancelotti: "Non so se sarà Carlo, di sicuro è molto capace; ha vinto al Milan, al Chelsea, a Parigi e a Monaco e quando è ritornato a Madrid, il Real, che sembrava finito, è stato rigenerato. La Federazione non ha ancora deciso, sono molto stressati. Lui sa dialogare con i giocatori ed è abituato a lavorare con i brasiliani, il Brasile deve ripartire dopo il Mondiale, ma non lo reputo un fallimento: nel calcio si ha il vizio di usare paroloni. I valori tecnici contano zero, conta il campo: se vuoi vincere, devi dimostrare in campo che sei migliore. Il Brasile ha sbagliato a continuare a giocare, nella Coppa del Mondo se sbagli una partita ti ritrovi a casa; non conta essere belli, né imitare il Barcellona di 15 anni fa, i fenomeni li aveva fatti giocare tutti insieme anche Zagalo a Messico 1970. A pochi minuti dalla fine contro la Croazia non dovevi attaccare, dovevi seguire lo stile dell'Italia. Non conta essere belli, conta il risultato. Quella di cercare allenatori stranieri è una moda, alla fine solo Abel e Juan Pablo Vojvoda stanno conseguendo risultati alla guida di Palmeiras e Fortaleza".
Trai ricordi c'è la lezione di Bearzot: "Trovo assurdo criticare Messi o Neymar, dire che non sono decisivi: invece di fare questo, si dovrebbe studiare come sfruttare il loro talento. Il mio Brasile vinse aveva un segreto, eravamo tutti leader nella squadra in cui militavamo. Non importava l'obiettivo, ma non sopportavamo di perdere: la parte mentale è quella più decisiva nel calcio, me lo ha insegnato a cena Enzo Bearzot: lui sceglieva l'uomo prima del calciatore, uno che fosse pronto a lasciare in campo l'anima. Mi spiegò che aveva battuto il Brasile logorando con Gentile Zico, il nostro fenomeno: poi emerse il talento dell'Italia, gli Scirea e i Bruno Conti".
Queste le istantanee tricolori: "Quando arrivo al Pisa trovo Anconetani che mette nel freezer il cibo per la mia famiglia in arrivo, come non potevo dare tutto per lui? A Firenze c'era un grande gruppo e io ero il rompiscatole, una figura che serviva; Baggio era un brasiliano mascherato da italiano, si divertiva con il pallone, amava stare in campo. A fine allenamento ci fermavamo a tirare le punizioni e a calciare al volo con Borgonovo, l'idillio si interruppe con Vittorio Cecchi Gori. La finale contro la Juve in UEFA è il mio rimpianto, assieme all'eliminazione da Italia 1990 per mano dell'Argentina. I rivali più importanti? Bagni e Crippa, due macine, battaglie all'ultimo respiro".