E' una vera confessione a forma di calcio quella che Roberto De Zerbi, per il secondo anno alla guida del Brighton, regala a 'La Gazzetta dello Sport': il gioco è al centro di tutto, perché è fonte di emozione e perché il calcio, per il tecnico bresciano, è anche (e soprattutto) bellezza.
La cessione di Mac Allister al Liverpool è rovescio della medaglia di ciò che gratifica nel mestiere: "Puoi capire che soddisfazione sia per me aver allenato uno che ha vinto il Mondiale, appena dieci anni fa cominciavo ad allenare in Serie D. La perdita di Mac Allister è importante, ha una enorme personalità: più la palla scotta, più la chiede; una volta gli ho detto che avrebbe riposato per un problema fisico e lui ha risposto -Se non vuoi vincere, fammi pure riposare.. Ho consegnato la sua maglia a Enciso: dava il massimo in allenamento e se la meritava; gli ho chiesto a chi avrebbe regalato la sua prima numero 10 e ha risposto -Alla mamma; bè, la risposta era esatta.." .
La prima qualificazione alle Coppe Europee non deve illudere il Brighton, che prova a plasmare non solo da un punto di vista tecnico: "Questa stagione è quella più importante, ci dobbiamo confermare a buoni livelli e abbiamo perso tre calciatori determinanti, Mac Allister, Colwill e Caicedo; ho detto ai ragazzi che le grandi comprano chi vogliono, ma che non possono comprare l'anima. Il Brighton è la squadra che meno mi assomiglia calcisticamente, ma di più come anima. Devo migliorare il mio inglese, per i concetti forti uso l'italiano: più che capire quello che dico, voglio che mi guardino negli occhi, devo trasferire loro il sangue, non le parole. Se mi piace un calciatore lo chiamo senza neanche avvisare la società, chiaramente senza parlare di soldi: mi piace scegliere i giocatori, studiare le loro caratteristiche. Non sento la pressione del risultato, la sola pressione che sento è quella che mi metto addosso da solo: devo migliorare il gioco e dare identità alla squadra; se la squadra non gioca bene, dico che ho sbagliato io a non dare la giusta tranquillità ai ragazzi e quei dettagli che avrebbero reso più corale il gioco" .
La personalità è il tratto che distingue chi ammira in questo mondo: "Sono orgoglioso delle lodi di Pep: sono consapevole di ciò che so fare, sono onesto; sono arrivato a questi vertici non per caso, o per fortuna. La mia fortuna è essere cresciuto nel grande Milan, so che quello che fai il giorno dopo non conta. Boban era il più magnetico tra quei giganti, eccelleva in personalità: aveva in più quello stile, quella schiettezza.. Io ero per Boban, sono stato per Maradona e per Bielsa. La svolta è stata la sconfitta contro il Manchester City: non sapevamo se avere coraggio o essere attendisti, scagliai il telefono contro il muro e dissi -Non ho buttato dieci anni di vita, se perdiamo, perdiamo a modo mio: attaccheremo Il Manchester City; Guardiola vinse 3-1 e disse -Ci sarà un modo 'prima del Brighton' e un altro 'dopo il Brighton' di giocare contro noi, la settimana dopo vincemmo 4-1 con il Chelsea" .
La polemica tra 'giochisti' e 'risultatisti' non è attraente al pari di difendere la sua visione: "Il calcio non è semplice; si affrontano 22 uomini e ci sono molte variabili: il risultato è l'ultima cosa, non può parlare di calcio solo chi ha vinto. Se perdo, mi girano le scatole, ma il risultato non giustifica tutto: ho dato la mia vita per il calcio, se mi fermassi per esempio a un rigore dentro, o fuori, mi sentirei una merda. Voglio vincere con il mio stile: lo stile è questo, ciò che sei in quello che fai. Fuori dal calcio ho poche amicizie: sono andato via a14 anni da casa, trent'anni fa; il calcio mi ha dato tutto e io ricambio il calcio. Il calcio per me c'è sempre, anche alle 4 di notte: se chiamo mia mamma, o i miei figli a quell'ora loro dormono, ma il calcio c'è" .
La guerra in Ucraina ha interrotto l'avventura e lasciato sentimenti fortissimi: "Allo Shakhtar ho vissuto l'esperienza più formativa della mia vita, una squadra fortissima che sentivo adatta alla mia idea di calcio; avevo detto ai miei ragazzi che in 2-3 anni avremmo giocato la semifinale di Champions League.. La guerra era nell'aria: fu tremendo prendere atto che la squadra da un giorno all'altro era stata cancellata, non il suo inizio. Tanti dicevano che la guerra non c'era, compresa la società, ma sentivo responsabilità verso i ragazzi: non me ne sono andato, non ho mai avuto paura. Quando ritornai a Brescia stavo malissimo, avevo gli occhi lucidi per niente; rifiutai una buona offerta dalla Turchia, mi sembrava una mancanza di rispetto. Con il Napoli ha vinto il gioco, Spalletti è un grande per la cura dei dettagli; farà benissimo con l'Italia. Io ritornerò in Serie A: ora non ci sono le condizioni e ho due anni di contratto, ma sono meteoropatico, amo il sole e la luce.." .