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Dzeko faro dell’Inter: “Era destino che venissi, qui c’è più possibilità di vincere”

Edin Dzeko soddisfatto della sua avventura all’Inter: “Ciò che sto facendo non mi sorprende. Dispiaciuto per il lungo digiuno? No, siamo primi”.

12 reti stagionali tra campionato e Champions League, primo posto in classifica e Supercoppa italiana in bacheca: difficilmente Edin Dzeko avrebbe potuto immaginare una prima parte di stagione migliore con la maglia dell’Inter, lanciatissima verso il secondo Scudetto di fila.

Arrivato con il non facile compito di sostituire Romelu Lukaku, il bosniaco non ha fin qui deluso le aspettative: intervistato dal ‘Corriere della Sera’, ha rivelato di non aver mai pensato alle gesta del suo illustre predecessore. “Se vai in un posto e ti metti a pensare cosa ha fatto chi c’era prima di te è meglio che non vai da nessuna parte. Se lo avessi pensato solo per un istante non sarei mai venuto. So che cosa posso dare, ciò che sto facendo quest’anno non mi sorprende“.

Il matrimonio con l’Inter era scritto da qualche parte: già ai tempi di Conte ci furono degli approcci decisi non andati a buon fine. “Già quando Conte stava al Chelsea mi voleva, ma non ero sicuro di tornare in Inghilterra. Appena arrivato all’Inter ci ha riprovato. Il momento è venuto adesso, le strade dovevano incrociarsi: era destino“.

La scelta nerazzurra ha un motivo ben preciso. “Non penso a quel che poteva essere. Sono in una squadra forte, con un nuovo mister che ha fatto vedere tanto alla Lazio. Abbiamo già fatto nostra la Supercoppa, per questo sono venuto all’Inter: c’è più possibilità di vincere“.

Un mese e mezzo senza segnare, fino al colpo di testa che ha deciso la gara interna col Venezia. “Nel periodo in cui non ho segnato abbiamo vinto quasi tutte le partite: non puoi non essere contento. Se fossimo stati quarti, con me che segnavo poco mi sarei fatto delle domande: così che devo chiedermi? Siamo primi“.

Infine un ricordo della guerra in Bosnia, vissuta con gli occhi speciali di un bambino. “Quando suonavano le sirene, ci portavano in cantina e non si sapeva se uscivamo dopo un’ora o un giorno. Lì avevo paura. Per fortuna i bambini dimenticano in fretta”.

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