VEDANO AL LAMBRO (MONZA) — I ricordi si spalancano come la porta dell’ascensore, e dietro c’è il Baffo che sorride. I ricordi arrivano a pioggia, ma arrivano. Sandro Mazzola, 82 anni, li acchiappa come palloni vaganti e ce li regala: passaggio filtrante, scatto, gol. È il ritorno della Grande Inter? Per intanto, c’è una grande partita contro la Juve domani.
Sandro, come sta?
«Benissimo, posso giocare 10 minuti, forse 15. Entro al 75’ e approfitto della stanchezza dei bianconeri. Vinca il migliore: noi».
Se le diciamo Juve, lei cosa pensa?
«Non so, non capisco, cosa vuol dire questa parola?».
Le piace sempre scherzare.
«Inter e Juve sono il calcio italiano, le squadre più grandi: mi dispiace per gli altri, ma non ce n’è. Non si chiama derby d’Italia per caso. All’andata finì 4-4, che divertimento incredibile! Però mi piace di più 1-0 per noi».
La prima partita della sua vita, proprio contro la Juve. Era il 10 giugno 1961, l’ultima di Boniperti. Che incrocio.
«Avevo 18 anni, era un sabato e la mattina avevo tre interrogazioni a ragioneria per rimediare voti non belli. La mia mamma non voleva che andassi a giocare: convinsi lei e il preside. Mi presentai a scuola con la valigia di legno e dentro c’erano la maglia, i calzettoni e i calzoncini dell’Inter. Angelo Moratti aveva mandato a Torino la Primavera per protesta contro la Figc, che aveva stabilito la ripetizione di quella sfida decisiva per lo scudetto».
Quella volta vinsero i bianconeri 9-1 e il gol nerazzurro, su rigore, lo segnò un diciannovenne di nome Sandro Mazzola. Era il figlio di capitan Valentino.
«Me l’ero fatta sotto, prima di tirare. Nessun compagno era venuto ad aiutarmi, mi sentivo solo. Finché uno di loro pulì il pallone e me lo passò. Lo appoggiai sul dischetto, guardai il portiere Mattrel e decisi all’ultimo istante di cambiare lato, così segnai».
Boniperti smetteva quel giorno.
«Mi venne vicino, mi disse che mio papà era stato il più grande di tutti, e che forse sarei stato degno di lui».
Fu il vostro primo colloquio, non l’ultimo.
«Boniperti e l’Avvocato provarono almeno tre volte a portarmi alla Juve. Gianni Agnelli mi offrì persino una concessionaria Fiat, e doppio stipendio rispetto a quanto prendevo all’Inter. Però la mia mamma disse: “Sandrino, se vai da quelli là, tuo padre si rivolta nella tomba”. Non potevo, naturalmente».
Oggi l’Inter è molto più forte della Juve?
«Non lo dica, non prima della partita! Diciamo che è una squadra che sa quello che vuole, e quasi sempre lo ottiene. Mi piacciono molto Lautaro e Barella, uno che gioca più o meno dove giocavo io».
Perché sua madre non voleva che lei facesse il calciatore?
«Intanto, aveva paura degli infortuni. E poi mi ripeteva che tutti mi avrebbero sempre paragonato a papà».
È successo?
«Certo, ovvio, soprattutto all’inizio. Poi ho fatto la mia strada, come mio fratello Ferruccio. So che Valentino Mazzola è stato molto più forte di me, più completo. Gianni Brera mi diceva che era stato il più grande giocatore italiano della storia».
E il più grande con cui ha giocato lei?
«Suarez. A volte sembrava sparito dal campo, ma poi entrava nel cuore delle azioni più importanti e le decideva».
Un mito come Meazza fu un suo allenatore. Altro interista incredibile.
«Lo spiavo anche da vecchio, volevo carpire i suoi segreti. Quando sbagliavi, ti portava a bordo campo e ti spiegava il motivo dell’errore, istante per istante. Per noi ragazzi era una leggenda. E quanto gli piacevano le donne!».
Era un calcio di tecnica e sentimento. Oggi, invece?
«Forse troppi muscoli, ma quelli bravi lo sono sempre. Il talento e la classe vengono prima della forza fisica e delle tattiche».
Voi dell’Inter di Herrera sareste i più forti anche adesso?
«Ma certo! Che domande sono?».
Si ricorda quando diedero il Pallone d’oro a Cruyff, invece che a lei?
«Quanto ci restai male! Dopo la finale di Coppa dei Campioni contro l’Ajax, non riuscivo neanche ad alzarmi dalla panca dello spogliatoio per fare la doccia. L’olandese ha cambiato il calcio, anche se difendeva solo quando voleva lui».
Vediamo una bella foto di lei e Rivera, qui, sul comò. Cos’è stato Gianni per lei?
«Rivera chi? Non ricordo. Era un giocatore? Dove giocava? (risata, ndr). Gianni era formidabile, noi due insieme eravamo perfetti: lui più offensivo e più regista, io forse più uomo squadra. La staffetta dei mondiali 1970 è stata la più grossa stupidaggine nella storia del calcio italiano. Quando andavamo a passeggio durante quei giorni in Messico, il cittì Valcareggi davanti e noi dietro, in fila, nessun compagno camminava accanto a me oppure a Gianni: avevano tutti paura di schierarsi».
Sandro, le capita spesso di sognare?
«Da vecchio, sempre di più. Sogno la mia mamma che mi prepara le scarpette da calcio e le lucida, e il mio papà che mi prende per mano e mi porta al parco. Sarebbe bello se esistesse davvero un’altra vita, non crede? Magari quando andrò di là, troverò Valentino che mi aspetta per giocare a pallone. Lui in attacco, io più indietro. Gli passerò la palla».