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Yamal e Williams, un gioco da ragazzi per alzare la coppa

La Spagna nella finale europea con Inghilterra con Nico, che ha compiuto 22 anni venerdì, e Lamine, 17 sabato. Kane: “Lui va in campo senza paura”

BERLINO – Nico ha avuto la torta il 12 luglio, Lamine l’indomani: i ragazzetti che giocano a fare le ali della Spagna hanno festeggiato i loro compleanni in fila, un giorno dopo l’altro: i compagni, come sempre, li hanno presi in giro e loro, come sempre, hanno riso come dei pazzi. Li lasciano fare, perché poi in campo sono rigorosamente seri. Williams ha fatto 22 anni, Yamal 17. Stanno sempre assieme (e con loro Pedri, un “veterano” ventunenne, che adesso è infortunato), anche se a quell’età cinque anni di differenza dovrebbero sentirsi, dovrebbero separarli. “Ma Lamine è più maturo della sua età”, dice Nico, “e quindi le differenze non si notano tanto, anche se io cerco di fare un po’ anche il fratello maggiore: mi chiede spesso consigli, io cerco di dargli quelli che mio fratello Iñaki ha dato me”.

La difficoltà dei campioni bambini

Diciassette anni domenica. A leggerlo fa impressione. Yamal sta battendo ogni record di precocità, anche se non potrà superare quello del fuoriclasse più precoce della storia, Pelè, campione del mondo a 17 anni e 249 giorni (e con una doppietta in finale). Bisogna però dire che la precocità non è la garanzia assoluta di una carriera formidabile, difatti la storia è piena di campioni bambini poi rimasti fermi alle stagioni verdi della loro rivelazione. Prima di Yamal, il più giovane marcatore in Europeo era stato lo svizzero Vonlanthen, che ha poi vivacchiato, fino a sei anni fa, tra i campionati elvetico, olandese e austriaco (ma disputò anche 6 partite nel Brescia), mentre il più giovane ad aver giocato in una Coppa del Mondo è stato (nel 1982) il nordirlandese Whiteside, all’epoca neo diciassettenne, che farà poi una discreta carriera nel Manchester United senza però mai rispettare i vaticini che si erano stati spesi nei giorni dei suoi giovanissimi debutti. Lo tormentarono gli infortuni (capitò anche a Vonlanthen che infatti si ritirò presto, appena 32enne) e magari è per quello quando smise con il calcio riprese gli studi e si laureò in medicina.

Il talento della Spagna coi ragazzini

La realtà è che a 17 anni si vedono tutti i germogli del talento, e anche la robustezza psicologica del calciatore in questione (quella di Yamal la definiscono eccezionale), ma il fisico non è ancora completamente formato e può “tradire”, perché Lamine potrebbe non crescere più o potrebbe crescere troppo, perdendo la meravigliosa coordinazione che ha il suo fisico ora. Il suo corpo è ancora soggetto a cambiamenti strutturali che possono essere profondi ed è soltanto tra un paio d’anni che si potrà definire con buona precisione cosa ne sarà di Yamal. È anche vero, però, che negli ultimi tempi la Spagna ha dimostrato di saperci davvero fare, con i ragazzini: prima del protagonista di questo Mondiale, dalla nazionale sono passati i minorenni Ansu Fati e Gavi (che sarebbe qui se non fosse infortunato) e Cubarsì, l’altro diciassettenne lanciato quest’anno dal Barcellona, è stato “tagliato” da De la Fuente soltanto all’ultimo, a vantaggio di Vivan dell’Athletic Bilbao.

Yamal: “Ho imparato in strada”

Gli spagnoli, d’altronde, stanno dimostrando che prendere le cose con leggerezza aiuta tutti, all’interno della nazionale come all’esterno, e crea un clima favorevole. A due giorni dalla finale, mentre nel resto del mondo il concetto di isolamento è considerato quasi sacro (e rispondere a qualche domande una fastidiosa perdita di tempo) moltissimi giocatori di primo piano hanno liberamente concesso lunghe interviste ai giornali spagnoli, come è accaduto per tutto il tempo del torneo: se non altro ha portato bene, visto che la Spagna ha vinto sei partite su sei, quattro delle quali con avversari di alto livello (perlomeno di nome). Tra gli intervistati dell’ultimo giorno c’è stato anche Yamal, che s’è messo in posa per Marca con torta e candeline d’ordinanza, raccontando i pensieri di un finalista minorenne: il ragazzo continua a ostentare una serenità incredibile, dimostra maturità e non sembra per niente ossessionato dall’idea di divorare traguardi (non è Ronaldo, insomma), prende tutto nel modo giusto, non ha un filo d’arroganza e la sfrontatezza se la tiene per il campo: “L’ho imparata giocando per strada, non esiste una scuola migliore per il dribbling o per le finte”. Ha rivelato che in questo torneo gli hanno chiesto la maglietta Chiesa e nientemeno che Mbappé (un altro predestinato, campione del mondo a 19 anni), che come tutti i ragazzini sbuffa quando la mamma lo rimprovera e che come tutti i ragazzini ha il compito di tenere in ordine la cameretta. Molto del suo equilibrio tra spensieratezza e maturità e tra istinto e determinazione lo deve alla Masia, il vivaio del Barcellona, dove abita da quando aveva 11 anni: entrò nel settore giovanile che ne aveva 7, ma quando si cominciarono a intuire le sue sconfinate doti, i genitori chiesero che potesse vivere nella foresteria del club, perché loro non erano in grado di assicurargli l’assistenza necessaria. Così il Barcellona si è dedicato alla sua crescita e ai suoi studi (durante il ritiro in Germania ha sostenuto a distanza l’esame di licenza media, che in Spagna si dà a 16 anni) e a 15 anni lo ha fatto esordire in prima squadra, grazie a Xavi. Può diventare campione d’Europa ma vive ancora in collegio, in una stanzetta con il letto a castello.

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