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Mancini, Cusin: “Ai miei tempi in Arabia non c’era la stessa apertura di oggi”

Stefano Cusin, allenatore del Sud Sudan, racconta la propria esperienza in Arabia

Se in questi giorni è tornato alla ribalta Roberto Mancini quale neo ct dell'Arabia Saudita con uno lauto stipendio di oltre 25 milioni di euro all'anno, vi sono alcuni angoli di mondo dove il calcio viene espresso in tutta la sua essenza, nonostante varie difficoltà economiche e geopolitiche. Stefano Cusin, attuale allenatore del Sud Sudan, ha rilasciato un'intervista a La Stampa per raccondate la propria esperienza, un calcio agli antipodi rispetto a quello dell'ex CT dell'Italia.

«Qui a Giuba, la capitale, ci alleniamo alle 7.30 del mattino per evitare il caldo e per ovviare all’assenza di luci dello stadio. Infatti, le partite ufficiali andiamo a giocarle in Uganda, in Tanzania, in Egitto. Per fortuna, entro fine anno, dovrebbe essere terminato il nuovo stadio e giocheremo in casa anche noi».

Come vanno le cose?

«Bene, le nazionali under 20 e 17 hanno centrato storiche qualificazioni alla coppa d’Africa di categoria. Con la maggiore siamo al 50% di gare vinte».

Il suo collega Mancini è in Arabia dove lei ha allenato.

«Beato lui, quando io sono stato vice all’Al Nassr, dove oggi c’è Cristiano Ronaldo, non c’era la stessa apertura dell’Arabia verso gli stranieri né giravano gli stessi soldi. È stata un’esperienza bellissima, ho sempre inseguito sfide in giro per il mondo per il gusto di conoscere e portare il mio contributo alle scuole calcio emergenti».

Quanto si guadagna in Sud Sudan?

«Niente rispetto al grande calcio, ma a me basta poter mantenere la mia famiglia in Italia. Mi paga una società petrolifera che collabora col Governo del Sud Sudan, la federazione non ha i soldi».

Le esperienze più belle?

«Vincere la supercoppa in Palestina, allenando l’Hebron, ricevuti prima della finale di Gaza dal leader di Hamas, in un bunker: mi chiese di portare in Italia la sofferenza del suo popolo. E i dialoghi con Gheddafi junior, primogenito del leader libico, che era il mio presidente all’Al-Ittihad e mi voleva sempre incontrare il luoghi segreti. Potrei raccontarne tante, magari scriverò un libro».

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